La Siria e quel sogno Mondiale ancora acceso

479771Deir ez zor, città della zona orientale della Siria. Terra di sangue e di conflitti. Fino a un mese fa, completamente in mano ai miliziani dell’Isis. L’esercito del dittatore Bashar al Assad è quasi riuscito a liberarla. Non del tutto ancora. Nelle notti scorse l’aviazione russa è giunta in soccorso, bombardando: 133 vittime, quasi tutti civili.

A quasi 7500 chilometri da lì, allo stadio Hang Jebat di Malacca in Malesia, la Siria gioca “in casa” contro l’Australia l’andata del doppio spareggio per la qualificazione alla Coppa del Mondo. Un figlio di Deir ez zor, Omar Al Somah, segna un calcio di rigore a 5 minuti dalla fine. È il gol del pareggio: 1-1. Verdetto rimandato a martedì prossimo, a Sidney.

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Omar, in Russia, sogna di volarci a giugno. Con i suoi compagni, in un mondiale a cui nessuno pensava e che oggi è ancora possibile.

Da anni segna valanghe di gol in Arabia Saudita nell’Al-Ahli. In nazionale è tornato solo da qualche settimana. Cinque anni fa era stato escluso per avere sventolato la bandiera dei ribelli anti Assad dopo una vittoria contro l’Iraq. Il regime lo ha perdonato, lui ha accettato. Per “tentare di regalare una gioia alla nostra gente”, ha detto. E in parte ci è già riuscito: un altro suo gol del pareggio – contro l’Iran a inizio settembre – ha mantenuto vivo il sogno qualificazione. Una rete festeggiata da migliaia di persone nelle strade di Damasco.

Omar al Somah, centravanti ed eroe nazionale in patria. Eppure non tutti lo vedono così. Molti esuli lo hanno considerato un traditore, al pari di Firas Al Khatib, fantasista ed ex simbolo della resistenza della città di Homs al regime. Per anni si è autoescluso dalla selezione. Poi nel febbraio scorso è tornato a vestire la maglia delle “aquile di Qasioun”, epiteto legato al monte che sovrasta Damasco. Una scelta che ancora oggi non lo fa dormire. Con Assad che combatte l’Isis o contro Assad che bombarda i civili siriani? Il numero 10 siriano ha scelto semplicemente di giocare, la cosa che gli è sempre riuscita meglio.

Una cosa che purtroppo non possono più fare tanti suoi ex compagni, caduti in battaglia o semplicemente spariti. Uno di questi, veniva da Homs, proprio come lui. Si chiamava Abdel Baset Sarout, classe 1992. Fino al 2011 era considerato il più forte portiere mai nato in Siria. Un fenomeno, tipo Donnarumma. Ma allo scoppiare della guerra civile, ha scelto di stare contro Assad, in prima linea. La parola “assedio” per lui ha assunto un significato del tutto diverso. Di lui non si hanno più notizie. Altri 37 calciatori importanti hanno fatto la stessa fine durante questi anni. Un tempo in cui gli stadi sono serviti soprattutto come basi militari. Luoghi di morte e non di gioia.

La guerra in Siria è ancora una realtà sempre più complessa. Neanche il calcio può fermarla. Eppure la favola della nazionale che sogna il mondiale può aiutare per qualche ora a dimenticare l’orrore. Le bombe, gli allarmi che suonano, il mezzo milione di morti in 6 anni. Sotto una sola maglia, la squadra allenata da Ayman Hakeem prova a riunire un popolo disperso, ferito, frammentato.

Contro l’Australia si è trovata in svantaggio e ha reagito con la rabbia di chi non accetta altri sogni spezzati. Nessuno dei giocatori in rosa gioca in Europa, in pochissimi guadagnano abbastanza per vivere bene col pallone. Chi gioca in patria, spesso non sa quanto tempo passerà fra una partita e l’altra. Eppure il mondiale adesso è lì, vicino, anche se non vicinissimo.

Non basterà superare l’Australia. Servirà, eventualmente, anche uno spareggio a novembre contro la quarta classificata dell’area Concacaf. L’area centrosettentrionale dell’America, per intendersi. Probabilmente fra Panama, Honduras o addirittura Stati Uniti.

Pensieri ancora lontani per un popolo abituato da tempo a vivere alla giornata. E da qualche settimana, nuovamente aggrappato ai gol di Omar al Somah. Il figliol prodigo, almeno per chi ha scelto di concentrarsi solo sul pallone e sulla sua magia.

Il male in campo. Da Marco Pannella a Marco Russ

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Giacinto Marco Pannella, morto giovedì 19 maggio all’età di 86 anni

Alla fine Marco se n’è andato. Aveva 86 anni, vissuti da Pannella. Giacinto, il suo primo nome, quello che i genitori gli avevano attribuito all’alba degli anni ’30 a Teramo, non lo identificava più da decenni. Era il nome di uno zio, noto teologo e sacerdote. Da quell’eredità onomastica si era “smarcato” rumorosamente, facendo dell’anticlericalismo una delle sue tante bandiere. Dietro ai suoi vessilli si erano uniti peccatori erranti e borghesi in cerca di redenzione, tossici e pentiti di vario genere, dai reati, ai matrimoni, alle gravidanze. Aveva due tumori, uno ai polmoni e l’altro al fegato. Facevano a gara a chi l’avrebbe fatto fuori per primo. Uno dei due ha vinto e tutti hanno perso uno dei più grandi protagonisti del ‘900. Era normale che succedesse. Altan ha scritto che forse non è morto davvero, “ha solo iniziato uno sciopero della vita”.

Se n’è andato a 86 anni, fumando due pacchetti di Gauloises fino all’ultimo respiro. Se n’è andato così, dopo aver ricacciato nella palude migliaia di coccodrilli pronti da mesi. L’ultima resistenza serena di un’esistenza vorticosa. Pannella si era sempre battuto. Per quasi tutti contro quasi tutti. Per la libertà di sbagliare, di cambiare radicalmente lo scenario della propria vita senza doversi scusare con nessuno. Essere radicali, lontano dal radicalismo delle ideologie. Sempre nella stessa squadra, cambiando simboli e compagni di viaggio, ma rimanendo fragorosamente se stesso. Questa volta non ha lottato più di tanto. Il suo corpo, vilipeso e allo stesso tempo elevato a icona, si è arreso. È normale, a quell’età, dopo una vita straordinaria. Così è morto il difensore degli ultimi.

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Marco Russ, classe 1986, difensore dell’Eintracht Francoforte

Marco Russ invece non ha ancora trent’anni. Non fuma e non si batte per i diritti civili. È il difensore dei terz’ultimi della Bundesliga, l’Eintracht Francoforte. Ha sempre giocato lì, a parte una trascurabile e rapida esperienza al Wolfsburg. Non ha mai fatto uno sciopero della fame, nè un comizio. Anche lui fino a una settimana fa sapeva di dover lottare per salvarsi. Pensava che l’avversario fosse il Norimberga, terzo nella Zweite Liga, la serie B tedesca. In Germania, fanno così per stabilire l’ultimo posto in Bundesliga: terz’ultimi contro terzi, due categorie contro in un playoff. Andata e ritorno, Paradiso o Inferno.

Marco pensava che l’inferno fosse una retrocessione. Salvarsi dalla B. E lui è il capitano, l’uomo cui tutti guardano per uscire da un tunnel lungo 180 minuti, prima a Francoforte, poi a Norimberga. Ma pochi giorni prima della gara di andata, il difensore viene informato che c’è un’altra galleria ad aspettarlo. È stato trovato positivo all’antidoping il 30 aprile scorso dopo Darmstadt-Eintracht. Una gara vinta 2-1 in rimonta. Se lo ricorda quel giorno: era stanco, felice e tranquillo. Non aveva sostanze proibite da nascondere. E allora com’è possibile che sia positivo al doping? I risultati delle sue analisi danno valori folli. Un livello altissimo di Hcg, l’ormone della crescita. Troppo alto per essere doping. “Può essere qualcosa di peggio”, avvertono i medici. Le visite successive dicono che “quel qualcosa di peggio” è ciò che temevano. È un tumore ai testicoli. Marco Russ, capitano dell’Eintracht Francoforte, 29 anni e due figli, adesso sa da cosa deve salvarsi.

Dubito che il Marco di Francoforte abbia letto nelle scorse settimane una delle ultime interviste rilasciate dal Marco di Teramo. Il leader radicale sosteneva di continuare con la sua vita di sempre. “I tumori su di me non hanno effetto”, diceva Pannella a Emiliano Liuzzi. Un colpo al cuore avrebbe invece portato via, pochi giorni dopo, il suo intervistatore. Un giocatore come Russ sarebbe piaciuto al livornese Liuzzi: arcigno e tignoso come la gente della sua terra. Attaccato alla maglia e alla professione, nella buona e nella cattiva sorte. Non l’ha letta Russ quella pagina del Fatto Quotidiano, ma si comporta come se l’avesse fatto.

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Russ è capitano dell’Eintracht dal 2013

“I tumori su di me non hanno effetto”. Pannella raccontava una bugia, ma non del tutto. Il male, così invasivo e presente sul corpo, non doveva distoglierlo dagli obiettivi di una vita. Non doveva cambiare abitudini e attitudini. E fino alla fine ha giocato la sua partita. A Francoforte, mercoledì 18 maggio, un ragazzo più giovane di oltre mezzo secolo, col suo stesso nome e il suo identico avversario, decideva di non lasciarsi vincere. “Sto bene, posso giocare”, dice Russ a mister Nico Kovac, il suo allenatore. “Dobbiamo salvarci, voglio aiutare la squadra”. È quel “noi” che può salvarlo, in realtà. Quella voglia di continuare a mettersi il parastinchi, allacciarsi gli scarpini, fare uno scherzo al compagno accanto in spogliatoio. È il desiderio di non ricevere pacche sulle spalle e di non trovare volti commiserevoli. Marco vuole scendere in campo. La federazione, viste le straordinarie circostanze, non l’ha sospeso per la positività all’antidoping. All’Eintracht sono tutti d’accordo: il capitano gioca.

Unknown-1“I tumori su di me non hanno effetto”. Forse lo pensava davvero Marco Pannella nella sua casa di via della Panetteria, ma giovedì 19, alle 14:02, viene definitivamente smentito. Mancano sei ore alla partita della Commerzbank Arena di Francoforte. Russ è nella sua camera e pensa a che effetto gli farà entrare nel suo stadio per quella che potrebbe essere…no, questo non vuole pensarlo. Ma ci pensa, perché sarà anche un duro ma è pur sempre un uomo. Tutta la sicurezza che ha mostrato e trasmesso ai suoi compagni è lo scudo dietro al quale si nasconde. Quello che gli passa per la testa deve avere le sembianze di guerre stellari. Ma questo gli altri non possono né devono vederlo. Lo aspettano 50 mila tifosi là fuori. Hanno preparato uno striscione. C’è scritto: “Marco, lottare e vincere”. Sbrigativi, concisi. Tedeschi. Lo spread con il lirismo mediterraneo è evidente, ma quando il capitano sbuca dal tunnel, il boato è assordante. Sognano di vincere con un suo gol. Il romanticismo, anche se a volte non ce lo ricordiamo, l’hanno inventato loro.

Sarebbe una bella favola se la rete salvezza arrivasse proprio dall’uomo che dovrà salvarsi, ma Disney non passava da Francoforte quella sera. Anzi. Minuto 43 del primo tempo: un cross dalla trequarti di Sebastian Kerk, mancino del Norimberga, attraversa l’area dell’Eintracht. Vanno tutti a vuoto. Tutti tranne Marco Russ, che di destro infila il portiere. Il suo. Autogol. Le telecamere indugiano sul capitano dei padroni di casa. Chissà se vede e sente quello che succede intorno a lui. Fa per portarsi le mani sul volto, ma non finisce il gesto. Lo fanno i compagni accanto a lui, increduli, scioccati, sani. Marco ha sbagliato e lo sanno tutti. Lo sa anche lui. Nessuno lo rimprovera. È stato un eccesso di generosità, un autogol “radicale”. Intento lodevole, risultato da dimenticare. Il suo omonimo da lassù potrebbe raccontargliene di esperienze simili, di autoreti elettorali e di scelte sbagliate.

                                       Le azioni salienti della gara di andata Eintracht-Norimberga

Russ è frastornato, ma rientra in campo nella ripresa. Vorrebbe spaccare il mondo. Accelera, ma ha i freni rotti. Al 56′ cerca l’azione personale. Caparbia e sgangherata: un ritratto della sua vita da 48 ore. Perde palla e commette un duro fallo su Hanno Behrens, mediano avversario. Tutto troppo veloce per chi ha troppe cose a cui pensare. Chissà se si ricorda che era diffidato mentre l’arbitro gli sventola il cartellino giallo. Chissà cosa grida quando va a un centimetro dal naso del signor Daniel Siebert, 32 anni, professione studente. Lunedì 23 maggio, Russ non potrà giocare a Norimberga la gara di ritorno. Forse non avrebbe potuto farlo lo stesso. I medici avevano deciso di posticipare l’operazione al massimo a martedì 24. Magari li avrebbe convinti a spostarla ancora un paio di giorni. O forse aveva già deciso che non era più tempo per inseguire il pallone. Da guerriero è andato in battaglia, ma un padre di famiglia non può perdere la guerra.

Marco Russ

Marco Russ a fine partita con i due figli

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L’abbraccio tra Russ e Gacinovic

Alla fine comunque non perde neanche l’Eintracht. Il pareggio lo sigla Mijat Gacinovic. È il suo primo gol con la maglia dei rossoneri di Francoforte. L’ha indossata per 400 minuti in tutta la sua vita. Russ per oltre 21 mila. Quando l’arbitra fischia la fine, Marco non sa se ci saranno altri secondi per lui con quella divisa addosso. Non piange. Difficile che lo faccia un tedesco. Condivide e  sorride, perché una serena resistenza al male passa anche per la condivisione di attimi con le persone amate. Matteo Angioli e Laura Hurt sono stati gli angeli custodi di Pannella nei momenti di sofferenza più intima. Quelli di Marco Russ sono piccoli, inconsapevoli e biondissimi. I suoi figli, che lo accompagnano in uno struggente cammino verso gli spogliatoi. Ci saranno anche martedì fuori dalla sala operatoria, quando loro padre non avrà intorno 50 mila tifosi. E forse sarà retrocesso o doppiamente salvo.

Ma lotterà per tornare a “calpestare nuove aiuole”. Come il signor Hood, il Marco di Teramo, che lassù starà già combinando qualche casino.

                   Signor Hood di Francesco de Gregori. Dedicata a Marco Pannella. Era il 1975.

Chi è Maria Rosaria Rossi, la “badante” di Forza Italia

Maria Rosaria Rossi, 43 anni, è la tesoriera di Forza Italia e dirige lo staff personale di Berlusconi

Maria Rosaria Rossi, 43 anni, è la tesoriera di Forza Italia e dirige lo staff personale di Berlusconi

Tutto passa da lei. I soldi, i nomi delle liste per le elezioni regionali, il rinnovamento del gruppo politico. Maria Rosaria Rossi, 43 anni, parlamentare dal 2008 è ormai la plenipotenziaria di Forza Italia. Il partito, o quello che ne rimane, è nelle sue mani. Tesoriera dal maggio scorso, “badante” di Silvio Berlusconi da almeno un lustro. Sempre presente a fianco dell’ex premier, quasi mai in Senato, dove figura fra le parlamentari più assenteiste.

Maria Rosaria Rossi a colloquio con Silvio Berlusconi

Maria Rosaria Rossi a colloquio con Silvio Berlusconi

Gli impegni del resto non le mancano. Perché l’ex Cavaliere non fa un passo senza di lei. È l’unica di cui si fida veramente. Per questo le ha affidato i conti di Forza Italia. E lei con scrupolosa meticolosità si è messa al lavoro. Accorgendosi che quel termine “tesoriera” suona piuttosto beffardo. “Ah, voi giornalisti chiamandomi così mi avete illuso che avrei trovato un tesoro. E invece trovo solo debiti. Chiamatemi debitiera…”, disse nell’estate scorsa, un paio di mesi dopo aver preso il posto di Sandro Bondi nella gestione finanziaria di Forza Italia. Un avvicendamento che l’ex fedelissimo di Berlusconi prese con filosofia. “Una cosa è certa: non abbandonerò mai né Silvio, né Forza Italia”, sostenne con passione. Certezze frantumate dagli eventi. [Read more…]

La sinistra polacca punta sulla bellezza: votate Magdalena

Magdalena Ogorek, candidata socialdemocratica alla presidenza della Polonia

Magdalena Ogorek, candidata socialdemocratica alla presidenza della Polonia

La sinistra europea guarda alla Polonia con un occhio diverso. E non lo fa solo pensando a possibili riforme politiche, ma anche alle forme della candidata socialdemocratica alle elezioni presidenziali del 10 maggio.

Magdalena Ogorek, 35 anni, alta, bionda e occhi azzurri. L’Alleanza della Sinistra democratica polacca punta su di lei per tornare a occupare la poltrona più prestigiosa di Varsavia. Una scelta affascinante e contestata quella dello schieramento nato nel 1990 dalle ceneri del Partito operaio unico. Quello per capirsi guidato in passato da Gomulka e Jaruzelski, rigidi burocrati storicamente poco sensibili al fascino femminili. [Read more…]

Tsipras e Renzi, diversamente quarantenni

Alexis Tsipras incontra Matteo Renzi

Alexis Tsipras incontra Matteo Renzi

Un’ora di confronto. Sicuramente per conoscersi. Per aiutarsi, forse. L’incontro a palazzo Chigi fra Matteo Renzi e Alexis Tsipras ha inaugurato il tour europeo del nuovo primo ministro greco. Un tentativo del numero uno di Syriza di spiegare lontano da Atene le posizioni del suo governo. Un viaggio per convincere le cancellerie che c’è bisogno di un’Europa diversa.

Tsipras non vuole dare l’idea di un mendicante che gira per le capitali col cappello in mano. Le sue parole sono focalizzate sulla necessità urgente di un cambio di passo. “Le politiche di austerità della Troika ha portato la Grecia ad avere un debito al 179%. Ha ulteriormente impoverito le famiglie” – attacca il premier ateniese – “Noi vogliamo soluzioni di reciproco vantaggio, proponiamo nuove riforme senza creare altri deficit o dover pagare nuovi prestiti”. [Read more…]

Mattarella giurin giurella. E Matteo guarda come gongola

Sergio Mattarella

Sergio Mattarella

Matterella ha giurato. E ha parlato. Era obbligato a farlo. Per quanto non ami eccedere nell’eloquio, la strada per il Quirinale passava inevitabilmente da Montecitorio e dal discorso di insediamento.

Trenta minuti di parole sottolineate da 42 applausi. A volte convinti, altri forzati. Oltre mille grandi elettori pronti a spellarsi le mani per l’arbitro delle loro prossime gare. “Sarò imparziale, ma spero che i giocatori mi aiutino”, auspica il Presidente. Sotto di lui, Matteo Renzi si gira e sorride. Accenna un cenno di assenso. Da leggere più con un “vai tranquillo Presidente” che con un meno rassicurante “stai sereno Sergio”.

imagesAccanto a lui il compagno di maggioranze Angelino Alfano si rallegra. È ancora al banco del governo, accanto al Presidente del Consiglio. È seduto alla sua destra, un po’ come la sua formazione politica, che fatica ad alzarsi come un anziano con la sciatica. [Read more…]

Giorgio Napolitano, il comunista che si fece re per salvare la repubblica

Giorgio Napolitano, l'unico Presidente rieletto

Giorgio Napolitano, l’unico Presidente rieletto

Nella primavera del 2006 l’Italia è chiamata di nuovo alle urne. I risultati poco lusinghieri del governo Berlusconi lasciano pensare a una facile affermazione del centrosinistra, guidato come dieci anni prima da Romano Prodi. Ma una scintillante campagna elettorale dell’ex Cavaliere permette a Forza Italia e soci di azzerare negli ultimi giorni il distacco.

Si vota nell’ultima settimana di aprile e il risultato è un testa a testa avvincente fra le due coalizioni. Solo grazie al voto degli italiani all’estero, il centrosinistra ottiene una strettissima vittoria. Sono solo 24 mila i voti di distanza fra i due schieramenti. Formalmente vince Prodi, ma nella sostanza è un pareggio. Anche perché la rinnovata la nuova legge elettorale, ribattezzata “porcellum” dal suo stesso estensore, il leghista Roberto Calderoli, determina una maggioranza solida solo alla Camera. In Senato l’Unione, riedizione dell’Ulivo del ’96, ha solo un paio di seggi di vantaggio. E due settimane dopo l’inizio della legislatura, è già il momento di scegliere il nuovo inquilino del Quirinale. [Read more…]

Quirinale, Renzi ha il nome: Sergio. Ma quale?

Montecitorio. Qui da oggi si elegge il Presidente della Repubblica

Montecitorio. Qui da oggi si elegge il Presidente della Repubblica

Eccoci. Finalmente. I giorni del Colle sono iniziati. Probabilmente saranno almeno tre. Una sorta di weekend lungo. Ore politicamente caldissime che coincidono con i giorni della merla, i più freddi dell’anno.

Due anni fa c’era il sole quando 101 franchi pugnalatori affossavano la candidatura di Romano Prodi, chiudendo di fatto la stagione di Pierluigi Bersani alla guida del PD. Erano serate primaverili quelle in cui si ngrossava il coro pentastellato fuori da Montecitorio. “Ro-do-tà, Ro-do-tà”, gridavano più o meno consapevoli i manifestanti dell’ultim’ora, promettendo una rivoluzione mai arrivata. Giorni confusi. Lo psicodramma del Partito Democratico e l’alba soffusa dei movimenti. Lo stallo della politica tradizionale, la rielezione di re Giorgio. [Read more…]

Carlo Azeglio Ciampi, il banchiere che sdoganò la parola “patria”

Carlo Azeglio Ciampi, dal 1999 al 2006 al Quirinale

Carlo Azeglio Ciampi, dal 1999 al 2006 al Quirinale

Esaurita l’epoca Scalfaro, il 1999 è nuovamente anno di elezioni presidenziali. Al governo c’è un’instabile coalizione di centrosinistra guidata da Massimo D’Alema. Le aspettative che avevano accompagnato la vittoria elettorale del ’96 erano state in gran parte deluse. Le troppe anime all’interno dell’Ulivo portano a scontri costanti nella maggioranza.

In una situazione simile nessuno schieramento ha la forza di esprimere un candidato forte. E come spesso è avvenuto per i governi degli anni ’90, ci si affida a un tecnico. Il prescelto, già al primo scrutinio, è Carlo Azeglio Ciampi, ex governatore della Banca d’Italia, che nel ’93 era riuscito a guidare l’Italia fuori dalle secche della crisi finanziaria. Più o meno apertamente i partiti lo eleggono per limitare al massimo l’ingerenza del Quirinale nelle scelte politiche. Ma Ciampi non è figura che si limita a tagliare nastri. Il leitmotiv del suo mandato è il costante richiamo all’unità nazionale. [Read more…]

Oscar Luigi Scalfaro, un Presidente eletto sulle macerie

La strage di Capaci del 23 maggio '92

La strage di Capaci del 23 maggio ’92

Il maggio del 1992 è il mese più nero di un anno orribile. Il Paese è frastornato dall’inchiesta Mani pulite del pool di Milano. L’endemica costruzione del sistema politico italiano è sotto gli occhi di tutti. Il re è nudo. I partiti vivono le imminenti elezioni presidenziali in un clima surreale, fra avvisi di garanzia, inchieste e la diffusa sensazione che tutto stia per crollare. Alle metaforiche bombe giudiziarie se ne aggiunge un’altra, drammaticamente reale, sull’autostrada Palermo-Capaci.

Cosa Nostra uccide così, all’uscita da una galleria dell’A29 il giudice Giovanni Falcone, la moglie e tre uomini della scorta. La criminalità organizzata fiuta gli scricchiolii delle istituzioni e sceglie un momento speciale per farsi sentire. L’esecutore della strage, il pentito Giovanni Brusca, sosterrà in seguito che l’attentato aveva anche un forte scopo politico: bloccare la probabile elezione di Giulio Andreotti al Quirinale. “Ci aveva tradito, non facendo niente per abolire il carcere duro”, racconta il killer di Capaci, soffermandosi sui duraturi rapporti fra la mafia e il “divo”. Relazioni su cui la magistratura ha indagato a lungo, giungendo a conclusioni che non sgombrano i dubbi dell’opinione pubblica. [Read more…]