Matterella ha giurato. E ha parlato. Era obbligato a farlo. Per quanto non ami eccedere nell’eloquio, la strada per il Quirinale passava inevitabilmente da Montecitorio e dal discorso di insediamento.
Trenta minuti di parole sottolineate da 42 applausi. A volte convinti, altri forzati. Oltre mille grandi elettori pronti a spellarsi le mani per l’arbitro delle loro prossime gare. “Sarò imparziale, ma spero che i giocatori mi aiutino”, auspica il Presidente. Sotto di lui, Matteo Renzi si gira e sorride. Accenna un cenno di assenso. Da leggere più con un “vai tranquillo Presidente” che con un meno rassicurante “stai sereno Sergio”.
Accanto a lui il compagno di maggioranze Angelino Alfano si rallegra. È ancora al banco del governo, accanto al Presidente del Consiglio. È seduto alla sua destra, un po’ come la sua formazione politica, che fatica ad alzarsi come un anziano con la sciatica.
Quando si gira verso destra vede le truppe di Forza Italia pronte a spellarsi le mani su ogni frase di Mattarella. Tre giorni fa gli avevano largamente preferito la scheda bianca, oggi lo celebrano con ostentazione. Miracoli di un Nazareno che imita il precedente biblico. Sembrano sollevati. Fra tre anni, quando si tornerà alle urne, forse saranno di nuovo guidati dal loro grande vecchio. Silvio Berlusconi, 79 anni a settembre, potrebbe riavere l’agibilità politica nella primavera del 2018.
Dopo la riduzione della pena e il ritorno anticipato alla piena libertà fra poco più di un mese, il leader di Forza Italia spera in uno sconto sulla pena che lo condanna a stare fuori dal gioco politico. È un cavillo della legge Severino che gli permetterebbe, in caso di buona condotta, di rientrare in corsa in concomitanza con la fine della legislatura. E se Raffaele Fitto non dovesse riuscire a prendere in mano il partito in questi mesi, è probabile che toccherebbe di nuovo a lui. Per quella data avrebbe 81 anni.
Giorgio Napolitano oggi ne ha 89. Oggi si è goduto il suo primo giorno da spettatore istituzionale. Era lì in prima fila, accanto al grande deluso di questa tornata presidenziale: Pierferdinando Casini. L’ex presidente della Camera aveva capito che sarebbe toccato a un democristiano, ma è stato scavalcato nella corsa all’indietro voluta dal rottamatore-restauratore.
Sabato ho seguito a lungo Casini in transatlantico. Ho cercato a lungo di capire cosa c’era dietro quella facciata gaudente esibita senza impaccio. L’ho visto parlare a lungo con Giovanni Toti e con Lorenzo Guerini. Con Formigoni e con Minzolini. Sempre al centro, mai veramente “il centro”.
Se non fosse arrivato il ciclone Renzi, forse sarebbe stato lui il rinnovamento delle istituzioni. Un Presidente al di sotto dei 60 anni, piacente e con la battuta pronta. E invece, eccolo lì, scivolare da divano a divano, gesticolando e mascherando un labiale che in pochi cercano di cogliere. Resuscitato e dimenticato in pochi giorni.
Intorno a lui, fioccavano pacche sulle spalle. Da destra a sinistra, da sinistra a destra. “Hai visto, te l’avevo detto?”, ricordano in molti nella consapevolezza indicibile di non esserne mai stati affatto sicuri. Centinaia di trolley parcheggiati e sicuri di non dover fare i conti con altri 101 sabotatori. E infatti le ruotine sgommano in fretta. Giusto il tempo di farsi fare un’intervista in cortile dai grandi network. Girano intorno alle Sardoni, ai Bonini, alla Rai, a tutto ciò che può dare loro quell’attimo di visibilità che li farà sentire ancora un po’ leader.
Sanno di non esserlo più. Perché oggi ce n’è uno solo che tiene tutto in pugno. È quel 40 enne che si gira verso Mattarella per dirgli di stare sereno. Pardon, tranquillo.
Buon settennato, Presidente. E stia lontano dagli hashtag.
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