Trieste, una città che torna a sognare. Dal fallimento alla rinascita. Il Ds Milanese: “Pian pianino torneremo grandi”

Più che un club. A Barcellona lo hanno scritto sui seggiolini del Camp Nou. A Trieste, la squadra della città ce l’hanno tatuata nell’anima.

Da sempre. Perché la Triestina è un’icona che va oltre il campo. Negli anni 30 Umberto Saba, uno dei più grandi poeti del ‘900, le dedicava versi indimenticabili: “Trepido seguo il vostro gioco. Ignari esprimete con quello antiche cose meravigliose sopra il verde tappeto, all’aria, ai chiari soli d’inverno”. Squadra paesana. Così si chiamava la poesia di Saba, spettatore e cantore degli alabardati dagli spalti. Un impianto conosciuto oggi come “Grezar”, mediano del Grande Torino morto a Superga.

Milanese

Mauro Milanese, una carriera di battaglie nel massimo campionato e un presente da amministratore unico del club che lo ha lanciato. Adesso è lui a guidare la rinascita della Trieste del pallone. Oggi in serie C, domani chissà. “Quando sono arrivato non avevamo neanche un pallone”, racconta Milanese a gianlucadimarzio.com“La squadra era terzultima in serie D, a un passo dall’Eccellenza e a due dalla scomparsa. Io e mio cugino abbiamo deciso che una storia così gloriosa non poteva finire in quel modo”.

Mario Biasin, nato dove soffia la bora ed emigrato in Australia in giovane età. Dall’altra parte del mondo ha fatto fortune nel settore immobiliare. Là vende 5500 ville all’anno, ma non ha mai dimenticato la sua “casa”. E quando si è presentata l’occasione, ha teso la mano alla città. “Parla inglese e il dialetto giuliano. Quando giocavo qui, veniva sempre a vedere le partite. Ricordava i 20mila del “Nereo Rocco” in C1”. Erano gli anni ’90. La Triestina negli anni successivi avrebbe riassaggiato la B, per poi cadere in un vortice, tra retrocessioni e fallimenti. “Qualche anno fa, Mario è tornato e ha trovato il vuoto. Ci siamo parlati, mi ha chiesto quanto sarebbe costato. In Australia aveva preso il Melbourne Victory. L’aveva portato da 100 abbonati a 28 mila. Voleva fare lo stesso, nella sua città. L’aveva lasciata portando tutto quello che aveva in un baule. Un viaggio per mare di 42 giorni con i suoi genitori. Lui sa cosa vuol dire partire dal niente…”.

32

E così sono partiti. Un’asta vinta in tribunale, una salvezza immediata e una promozione ai playoff nell’anno successivo. “Abbiamo festeggiato due volte sul campo. Rimanere nei professionisti era fondamentale, per dare seguito al nostro progetto. Appena presa la società – aprile 2016 – dissi che sarei voluto arrivare in B in cinque anni. Direi che siamo perfettamente in linea con gli obiettivi iniziali”. Oggi la squadra è sesta nel girone B, in piena zona playoff. Niente male per un gruppo completamente ricostruito in estate. “Abbiamo l’attacco migliore del girone. La nostra punta centrale Arma e l’esterno Mensah stanno dando un contributo importante ma anche Petrella, pur giocando meno, ha già saputo essere decisivo”. L’ultima volta nello scorso weekend: una sua doppietta ha steso il FeralpiSalò. “Viene da Teramo, è giovane e ha grandi qualità nello stretto. Specialmente contro le squadre che si chiudono, il suo talento è fondamentale per scardinare le difese avversarie”.

Una squadra che ha fatto tornare l’entusiasmo sulle tribune di un “Nereo Rocco” che ha una media di 5mila spettatori. Triestini che tornano ad affollare il loro stadio, anche per tifare un loro concittadino che sulla fascia sinistra sta facendo un ottimo campionato. “Abbiamo avuto diversi infortuni in difesa e questo ci ha consentito di lanciare Luca Pizzul, ragazzo triestino del ’99. E’ partito quasi sempre titolare e sta dimostrando tutto il suo valore. L’allenatore crede molto in lui”.

1

E che allenatore. Forse il vero top player della squadra giuliana: Giuseppe Sannino. Ultimo allenatore di Milanese a Varese e punto centrale della rinascita del club. “Con lui ho un rapporto speciale. È un amico e con lui non litigherò mai per faccende calcistiche. È stata una scelta mirata, perché spero sempre in un percorso umano parallelo a quello sportivo. Sta dando una grande organizzazione alla squadra, giochiamo un calcio aggressivo e la gente si diverte. Vedere tornare la gente allo stadio con la nostra divisa è qualcosa che mi riempie il cuore”.

Una società risanata, un amore rinato. E una favola da iniziare a tramandare ai più piccoli. Abbiamo ricostruito il settore giovanile. Quando sono arrivato facevamo fatica a mettere in piedi una squadra. Oggi ne abbiamo 19. Con l’aiuto dell’amministrazione, vogliamo costruire un centro sportivo nostro per lasciare una traccia eternamente tangibile del nostro passaggio. Cominciando dal vivaio. Io sono partito da lì, ho giocato sia al Grezar che al Rocco. Un ragazzo triestino deve crescere sentendo sua questa maglia”.

Portare quella divisa sulle spalle significa portarsi dietro un secolo di storia. Sì, perché il 2018 sarà l’anno del centenario. Cento anni di Unione Sportiva Triestina da celebrare a dovere. “Abbiamo previsto molte iniziative. Alcuni writers stanno raffigurando sui muri dello stadio le icone della nostra storia.

Inizieremo il 18 dicembre e andremo avanti per un anno”. E chissà dove sarà a quel punto la sua squadra. “Ci proveremo già quest’anno. Abbiamo vinto a Vicenza e Pordenone, dimostrando di potercela giocare con tutti. L’obiettivo è arrivare ai playoff. Al mercato di gennaio proveremo a sistemare piccoli dettagli. Soprattutto in difesa, dove si sono concentrati gli infortuni. Mori doveva essere il nostro leader difensivo e non lo abbiamo mai avuto, Grillo ha avuto diversi acciacchi. Ma non faremo rivoluzioni o passi più lunghi della gamba. Pian pianin ma sempre diritto, questo è il nostro motto”.

Trieste vuole tornare grande. E riempire di nuovo il suo stadio, che nel giugno 2019 ospiterà alcune gare dell’Europeo under 21“Un’ulteriore dimostrazione di forza della nostra società e della buona collaborazione con le istituzioni locali. Sarà l’occasione per rifare il look a un impianto già bellissimo e che vogliamo rivedere pieno”.

Come una volta. Un lungo percorso iniziato da venti mesi. Saba era il poeta delle Scorciatoie, brevi componimenti capaci di giungere a conclusioni lontane e sorprendenti. Come una promozione in B partendo dal niente. Se dovesse succedere, da lassù sarebbe fiero della sua “squadra paesana”.

Cesidio Oddi, il portiere che segnò due volte: “Quel giorno che feci doppietta contro il Cagliari…”

Oddi

I tifosi di Benevento non dimenticheranno mai quella sequenza. Quei pochi secondi che separano rassegnazione e speranza, incredulità e gioia. Testimoni della storia e della favola di Alberto Brignoli. Un aneddoto da tramandare. Perché tra trent’anni, di questo gol, forse si parlerà ancora. Momenti destinati a restare, come quel 6 marzo 1988 a Nocera: il giorno in cui Cesidio Oddi, portiere dei padroni di casa, firmò addirittura una doppietta. Nessuno in Italia lo ha mai eguagliato.

“Mi ricordo bene quella partita, come potrei dimenticarla?”, racconta Oddi al microfono di gianlucadimarzio.com. “Giocavamo contro il Cagliari, campionato di C1 girone B. Ed era una partita fondamentale”. Sesta giornata di ritorno, Nocerina in piena zona retrocessione, vittima soprattutto dei problemi societari che l’anno successivo l’avrebbero condannata al fallimento. Il portiere, classe 1956, era uno degli elementi più esperti. “Ci giocavamo la salvezza. La situazione economica era difficile, c’era molta tensione. La gente ci apprezzava, ma non era semplice mantenersi freddi”.

Oddi_2

Il sostegno del pubblico andava oltre il tifo allo stadio: gli abitanti della città si erano tassati per consentire l’iscrizione della società, messa in mora d’estate. Commoventi. Il giorno della gara contro il Cagliari, erano in 5mila allo stadio “San Francesco”, spettatori di un evento unico. “A metà primo tempo ci assegnarono un rigore. Da qualche settimana, il nostro allenatore aveva deciso che sarei stato il rigorista della squadra. Si fidava della mia freddezza”. Un errore dal dischetto di Gaetano Musella, stella di quella Nocerina e assente contro i sardi, aveva determinato una sconfitta a Frosinone nelle settimane precedenti. La tecnica doveva lasciare il posto alla personalità e Oddi era la persona giusta, come ricorda per noi l’uomo che prese quella decisione, Vincenzo Montefusco. “Era bravissimo a tirarli. Un bel destro e nessuna paura. In settimana si allenava anche da giocatore di movimento. Era difficile a quei tempi vedere un portiere bravo con i piedi. Lui lo era, ma scelsi di far tirare lui per la testa. Sui rigori, come
nelle scelte di un allenatore, serve decisione. Quando giocavo nel Napoli con Altafini, sul dischetto andava Improta, meno tecnico ma sempre affidabile. Oddi aveva quelle doti, quindi toccava a lui”.

Restava solo da attraversare il campo. “Percorrevo quei metri sicuro di me – ricorda il portiere – ma per un attimo pensai a cosa sarebbe successo se lo avesse parato. Giusto un momento, perché mi ero allenato per quella situazione e mi sentivo pronto”. A undici metri da lui, Mario Ielpo difendeva la porta del Cagliari. Ha fatto le giovanili alla Lazio. Per Oddi, cresciuto nella Roma, è un deja vu. “Il mio primo rigore da portiere l’avevo tirato a 13 anni in un derby della categoria Allievi. Segnandolo”. In area insieme a loro c’è l’arbitro Trinchieri, romano. Cerchio che si chiude, fischio, gol. “Tirai una botta secca da una parte, perché vidi un suo movimento anticipato. Facile. Il secondo invece un po’ meno…”.

Nella ripresa infatti, a pochi minuti dal termine, il destino bussò di nuovo alla porta di Oddi. Secondo rigore. Un altro campo da attraversare, questa volta per chiudere i conti. “Eravamo in vantaggio 2-1. Il Cagliari ci aveva messo alle strette. Tornai sul dischetto. Ielpo non faceva una piega, fermo sulla riga. Intuì la direzione, la sfiorò, ma per fortuna non la prese”. Finì con la gente di Nocera a portarlo in trionfo e con una dedica speciale al suo alano Bambulè, fedele compagno durante gli allenamenti. Ielpo invece si sarebbe consolato col tempo, laureandosi, sei anni dopo, campione d’Europa con il Milan. La Nocerina non ebbe più rigori a favore in quella stagione e retrocesse in uno spareggio a Cosenza contro il Catania e poche settimane dopo fu dichiarato il fallimento. Oddi se ne andò a Ravenna, stessa categoria. “Anche lì segnai un rigore. Contro la Virescit a Bergamo. E nella stessa partita ne parai anche un altro…”.

Poi chiuse la carriera a Cerveteri, nel modo più ironico e crudele: errore all’ultimo penalty dello spareggio contro la Juve Stabia per la permanenza in C2. “Resta un po’ il dispiacere ma purtroppo in questo sport qualche rimpianto c’è sempre. Come quello di aver giocato la maggior parte della carriera su una gamba sola. Quando giocavo nel Palermo, mi distrussi la sinistra a Bari in uno scontro con Aldo Serena. Sono stato fermo un anno, fosse stata l’altra gamba sarebbe stato peggio”. Gli resta magari un po’ di rammarico per non aver mai trovato un gol su azione, come Brignoli. “Sono andato qualche volta a saltare sui corner ma non è mai arrivata la palla buona. Peccato, sarebbe stata una bella emozione”.

Oggi ha 61 anni e allena sul litorale romano tutti i portieri del Ladispoli, dalla prima squadra ai giovanissimi. “Ma non ho mai scelto rigoristi tra di loro, forse sono più tradizionalista di Montefusco. Per me è importante che parino, basta quello”. Parola di Cesidio Oddi, il numero 1 che, un giorno a Nocera, segnò una doppietta.

 

L’incredibile storia di Marco Negri, eroe dell’Umbria e di Glasgow. “Un giorno Sean Connery mi disse…”

Dalla retrocessione col Perugia a Dio di Glasgow

Vent’anni fa, di questi tempi, un calciatore italiano faceva impazzire mezza Glasgow. Quella dipinta di blu, tifosa dei Rangers. Un ragazzo che non parlava mai con la stampa ma di cui tutti parlavano. Uno capace di segnare 23 reti nelle prime 10 partite. Veniva dal Perugia e il suo nome era Negri. Marco Negri. Dirlo così, alla James Bond, non è casuale. E presto capirete perché.

È stato un momento incredibile”, ricorda oggi al microfono digianlucadimarzio.com“Arrivavo da stagioni prolifiche in Italia e la fiducia nei propri mezzi, per un attaccante, è la componente più importante”. È la stagione ‘97/98. I Rangers cercano un’alternativa al leggendario cannoniere Ally McCoist, miglior marcatore di tutti i tempi col club ma giunto ormai a fine corsa. E la individuano in Marco Negri, reduce da una stagione in serie A con il Perugia, chiusa con 15 reti e una retrocessione che fa ancora male. “Retrocedere è una di quelle cose che ti segna la vita. Eravamo una buona squadra ma il livello del campionato era altissimo. Andò male e così decisi di tentare un’esperienza all’estero”.

I Rangers avevano appena messo sotto contratto un altro calciatore del Perugia, il giovanissimo Gennaro Gattuso. Un caso internazionale, con la fuga di Ringhio dal ritiro del club umbro e l’ira di Gaucci. Anche per cercare di calmare le acque, gli scozzesi acquistano Negri. Ed è subito magia. Ricordo la prima partita ad Ibrox, subito in gol davanti a 50mila persone. E poi i 5 gol contro il Dundee, la rete al Celtic Park nell’Old Firm contro i rivali di sempre. Emozioni indelebili”.

Fra agosto e Natale del ‘97 segna 29 reti. Un re Mida che trasforma in gol tutto ciò che creano i compagni. E che compagni. “Arrivava sempre una palla buona. Alle mie spalle avevo Laudrup e Gascoigne. Che genio Gazza, il compagno migliore mai avuto. Un genio, in tutto. Una volta andammo a fare una caccia col falco. L’addestratore era distratto e Gazza iniziò a dare da mangiare agli uccelli qualsiasi cosa. Quel giorno nessuno riuscì più a farli volare…”. Nell’anno che porta al mondiale di Francia, c’è una candidatura in più al centro dell’attacco dell’Italia di Cesare Maldini. Poi quella magia, com’era arrivata, in un attimo svanì.

Negri_3

 

Dalle stelle alle stalle. Maledetto squash

Un mercoledì di inizio gennaio, Marco va a giocare a squash con il compagno di squadra Sergio Porrini. È la seconda volta che impugna una racchetta. Non sa che bisogna indossare occhiali protettivi. Lo scoprirà dopo, quando sarà troppo tardi: una pallina scagliata con foga da Porrini lo colpisce all’occhio destro. La luce si spegne di colpo. Corrono in ospedale: Negri ha un distacco parziale della retina. È l’inizio della fine. Riesce a rientrare dopo un paio di mesi, poi si blocca di nuovo per un’ernia. Da lì a fine stagione segna solo 4 volte. L’incantesimo si è rotto.

Ho iniziato a giocare col contagocce. Improvvisamente era cambiato tutto. Appena mi rialzavo, succedeva qualcosa che mi ributtava giù. Mi resterà sempre il dubbio di sapere come sarebbe finita quella stagione. Non ho mai giocato in Nazionale, forse poteva essere davvero l’anno buono”.

La voce di Marco rivela ancora l’emozione di quei giorni. Quell’incredibile altalena che lo ha portato prima in alto e poi in basso in poche settimane. Una ruota panoramica, come l’ha definita lui in “Moody Blue”, una meravigliosa autobiografia, finalista, lo scorso anno, di un prestigioso premio letterario britannico. Un modo per ricordare una carriera rapsodica e piena di aneddoti indimenticabili. Come l’incontro con un tifoso speciale dei Rangers: Sean Connery. O se preferite, James Bond.

Mi stavo fasciando una caviglia sul lettino prima di un’amichevole. Ero da poco rientrato in campo dopo il fattaccio. Lui era venuto a salutare il presidente, suo amico di vecchia data. Me lo presentarono e lui s’illuminò. Mi chiese che fine avessi fatto, che cosa fosse successo dopo quell’inizio incredibile. Missione impossibile da spiegare, anche al re degli 007…”. Negri resta fino al 2000 in Scozia, chiudendo la sua esperienza con 37 gol in 40 partite. Poi il ritorno in Italia: Vicenza, Bologna, Cagliari, Livorno e Perugia. Un cerchio che si chiude in Umbria, dove tutto era cominciato.

negri_2

Il re dell’Umbria. Da Terni a Perugia

Già, l’Umbria. La prima terra in cui Negri approda dopo aver fatto le giovanili all’Udinese. La Ternana, stagione 91/92, lo ingaggia a gennaio per cercare la promozione in serie B. E con lui al centro dell’attacco, la promozione arriva. “Un ricordo meraviglioso. Clagluna allenatore di un gruppo granitico. Segnavamo pochissimo: vincemmo il campionato facendo 21 gol. Io ne feci 5 e compresi subito cosa volesse dire giocare con la pressione addosso, In un campionato lontano dalle tv, calcio vero”. E calci, tanti. Non solo sul terreno di gioco. “Ad Acireale nel sottopassaggio successe di tutto. Capitavano spesso queste cose nel girone sud. Ma era comunque bellissimo. Quella promozione mi diede una consapevolezza incredibile”.

Poi dopo due positive esperienze a Bologna e Cosenza, l’attaccante risponde alla chiamata del Perugia di Gaucci. Obiettivo un’altra promozione, questa volta in serie A. “All’inizio fu dura. Gaucci esonerò Novellino. Arrivò Galeone e le cose iniziarono a girare bene”. Un anno tormentato fra sconfitte, rimonte e sfuriate epiche del presidente. “Gaucci aveva i suoi metodi per motivare i giocatori Quando arrivai ero spesso infortunato e non rendevo al meglio. Una volta mi prese sottobraccio e davanti alla squadra disse: sa Negri, io l’ho acquistata per fare la differenza. Ma per noi, non per gli altri!”.

negri_ok

E alla fine la differenza Negri la fece per davvero: 18 reti, due decisive per la promozione nell’ultima partita col Verona al Renato Curi“Era tutto apparecchiato. Lo stadio pieno, loro già promossi, ma in campo fu durissima. Andammo sotto, poi la riacciuffammo. E fu una gioia pazzesca. Io e Materazzi uscimmo dallo stadio e andammo a festeggiare per le vie della città col suo motorino. Senza casco, coi capelli dipinti di blu, in mezzo alla gente. Altro che pullman scoperto, quella sì che fu una festa vera”.

Ternana e Perugia. Due pezzi di cuore per Marco Negri. Due promozioni, un solo derby giocato (e vinto in serie C con la maglia della Ternana. “È una partita speciale perché sono due tifoserie speciali. In questo calcio ultramoderno avere sprazzi in cui il tifoso è il vero protagonista fa sempre piacere. Io ho giocato anche il derby di Glasgow ma quello fra Ternana e Perugia lo porto sempre nel cuore. Le squadre sono alla ricerca di equilibri, io farò il tifo per l’Umbria”.

Marco Negri oggi: “Vorrei allenare gli attaccanti”

Oggi Marco ha 47 anni e vive a Casalecchio di Reno, provincia di Bologna. Gira il mondo con i camp organizzati dai Glasgow Rangers e spesso torna in Scozia a commentare le partite del suo vecchio club. “Anche la settimana scorsa. Purtroppo per una sconfitta in casa contro l’Hamilton. Una partitaccia”.Con sua moglie Monica osservano la crescita del loro figlio Christian, 13 anni“Fa nuoto a livello agonistico. Il calcio gli interessa poco, ma in acqua è uno squalo vero”.

E allora guardandosi indietro, cosa resta? “La sensazione di aver vissuto tutto al 100%. Senza aver mai barato, cercando di essere sempre prima di tutto un uomo dei tifosi. Perché i loro giudizi sono sempre stati puri”.

E adesso però resta ancora un ultimo progetto. Ambizioso e originale.“Vorrei allenare gli attaccanti. Ho il patentino per andare in panchina, ma il mio progetto è diventare un allenatore di reparto, insegnando i movimenti. Esiste per i portieri, perché non dobbiamo avere una figura simile per chi è chiamato a fare gol? Io ho imparato a stare in campo guardando Abel Balbo ai tempi dell’Udinese, ma mi sarebbe piaciuto avere una guida specifica. Ne ho parlato con tante persone. C’è interesse ma ancora niente di concreto”.

Sarebbe l’ennesimo capitolo della vita di Marco Negri. Uno da ruota panoramica o da montagne russe. Uno che ha fatto emozionare anche il re degli 007.

negri_5

Alla scoperta di Malcore, il bomber venuto dalla D: “Da bambino sfondavo i garage”

giancarlo-malcore-carpiQuasi tutti i bambini sognano di diventare calciatori. Il pallone fra i piedi, i primi calci, una porta qualsiasi da inquadrare. In mezzo a due cappotti, fra due alberi, oppure, semplicemente, la saracinesca di un garage. La stessa che Giancarlo, a 4 anni, colpiva con potenza e precisione. “Tiravo talmente forte che mio padre si affacciava per vedere chi fosse stato. Non poteva credere che fossero i miei tiri. Avevo già deciso che avrei fatto il calciatore”.

Giancarlo di cognome si chiama Malcore. È cresciuto a San Donaci, un paesino di 6mila abitanti del Salento. L’anno scorso era in serie D a Manfredonia, città di nascita di Matteo Lauriola, il direttore sportivo che ha scelto di portarlo a Carpi, due categorie più in alto. Sabato scorso, Giancarlo ha realizzato la sua prima tripletta in serie B. Tre gol all’Ascoli, tre punti importanti per il Carpi. “Sono molto contento – racconta ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – sono le prime vere soddisfazioni della mia carriera. A me sembrava già un sogno fare il ritiro quest’estate con una squadra di questo livello”.

Nessuna difficoltà nell’adattarsi a una categoria diversa, anzi. Malcore viaggia alla media di un gol ogni 79 minuti. Numeri alla Messi per il ragazzo che gli amici chiamavano il “Fernando Torres del Salento”. Giancarlo ride di questa definizione: “Sì, lo dicevano ma più per il colore di capelli e qualche tratto somatico simile. Come caratteristiche non c’entro molto: a me piace giocare la palla, sono più una seconda punta”.

Il Salento, la terra che l’ha cresciuto, lo ha poi lasciato andare via. E per un ragazzo cresciuto nelle giovanili del Lecce da quando aveva 8 anni, questa è ancora una ferita aperta. “Mi ero immaginato una carriera lunga nella squadra della mia città. Avevo fatto tutta la trafila con la maglia giallorossa. Sentivo che era il mio posto”. Eppure il momento di Malcore non arrivava mai. ”C’erano diverse persone che non mi ritenevano pronto per il Lecce. C’era sempre qualcuno reputato più bravo di me. Avevo perso un po’ di fiducia. Eppure Chevanton, uno dei miei idoli d’infanzia, mi spronava a insistere: diceva che prendevo sempre la porta. E che dovevo lottare su ogni pallone. È stato un compagno eccezionale. Perdemmo una finale in casa, proprio col Carpi. Era il 2013. Io la vidi tutta dalla panchina. E piansi”.

Poi iniziò una processione in un calcio periferico. Gavetta vera, fra Nocerina, Paganese, Chieti e Manfredonia. “Nelle categorie inferiori, 7 volte su 10 devi inventare una giocata. In B è vero che ci sono difese più attrezzate, ma hai anche giocatori capaci di metterti in condizione di segnare. E un’organizzazione tattica che aiuta chi deve finalizzare. Quella di mister Calabro, per esempio, mi dà una grande mano là davanti”.

Eppure il suo allenatore, in quest’avvio di stagione, gli ha riservato più di qualche panchina e sta sempre addosso al suo quasi compaesano. “Quando se la prende con me, si sfoga in dialetto. Così sa che il messaggio mi arriva prima”, scherza Malcore. “Apprezzo molto il fatto che sia esigente con me. Mi dice sempre di non mollare un centimetro. Io faccio di tutto per cercare di essere pronto, Non è un sacrificio, perché il calcio è la mia vita”. E magari un domani quella vita potrebbe essere quella di un calciatore di serie A: “Voglio arrivarci prima possibile e rimanerci a lungo. Non lo nascondo, è un mio obiettivo da quando ho iniziato”.

Suo padre Cosimo, grande appassionato di calcio e militare dell’Aeronautica, ha sempre creduto nei mezzi del figlio. È stato lui a indirizzarlo al calcio, togliendogli la palla da basket dalle mani, l’altra sua grande passione. Magari mamma Lucia avrebbe avuto qualche completino meno sporco da lavare, ma non importa. Il loro Giancarlo oggi ha 23 anni e ancora lo spirito di quel bambino che massacrava a pallonate la saracinesca di un garage.

“Voglio solo fare bene col Carpi. Ho compagni splendidi, che mi hanno fatto sentire subito a casa. Da Mbakogu che abbraccio ogni volta che vedo, a Pasciuti che non fa mai un errore tattico. Arrivare a 50 punti è il nostro primo obiettivo”.

Zona tranquillità, al riparo da brutte sorprese. Individualmente, invece, la missione è fare meglio dei 14 gol dell’anno scorso a Manfredonia. Era serie D, ma fa rete fa sempre lo stesso rumore. Ne ha già fatti 5, ne restano altri 10. Conviene scommettere su di lui?

“Chi lo ha fatto in passato, di solito ha vinto”, afferma a metà fra gioco e spavalderia. “Quando ero ancora in Salento, c’era il proprietario di un chiosco vicino a dove giocavamo che scommetteva contro di me, alzando sempre il numero di reti da fare. Gli andava male comunque. Era divertentissimo”. Quasi come un gol stupendo al Napoli in precampionato o una tripletta alla nona presenza in B. “Bello sì, ma ormai è già passato. Domenica arriva il Brescia, squadra tostissima. Ci faremo trovare pronti”.

Come sta facendo lui, Giancarlo Malcore da San Donaci, al primo anno vero in un campionato professionistico.