Cesidio Oddi, il portiere che segnò due volte: “Quel giorno che feci doppietta contro il Cagliari…”

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I tifosi di Benevento non dimenticheranno mai quella sequenza. Quei pochi secondi che separano rassegnazione e speranza, incredulità e gioia. Testimoni della storia e della favola di Alberto Brignoli. Un aneddoto da tramandare. Perché tra trent’anni, di questo gol, forse si parlerà ancora. Momenti destinati a restare, come quel 6 marzo 1988 a Nocera: il giorno in cui Cesidio Oddi, portiere dei padroni di casa, firmò addirittura una doppietta. Nessuno in Italia lo ha mai eguagliato.

“Mi ricordo bene quella partita, come potrei dimenticarla?”, racconta Oddi al microfono di gianlucadimarzio.com. “Giocavamo contro il Cagliari, campionato di C1 girone B. Ed era una partita fondamentale”. Sesta giornata di ritorno, Nocerina in piena zona retrocessione, vittima soprattutto dei problemi societari che l’anno successivo l’avrebbero condannata al fallimento. Il portiere, classe 1956, era uno degli elementi più esperti. “Ci giocavamo la salvezza. La situazione economica era difficile, c’era molta tensione. La gente ci apprezzava, ma non era semplice mantenersi freddi”.

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Il sostegno del pubblico andava oltre il tifo allo stadio: gli abitanti della città si erano tassati per consentire l’iscrizione della società, messa in mora d’estate. Commoventi. Il giorno della gara contro il Cagliari, erano in 5mila allo stadio “San Francesco”, spettatori di un evento unico. “A metà primo tempo ci assegnarono un rigore. Da qualche settimana, il nostro allenatore aveva deciso che sarei stato il rigorista della squadra. Si fidava della mia freddezza”. Un errore dal dischetto di Gaetano Musella, stella di quella Nocerina e assente contro i sardi, aveva determinato una sconfitta a Frosinone nelle settimane precedenti. La tecnica doveva lasciare il posto alla personalità e Oddi era la persona giusta, come ricorda per noi l’uomo che prese quella decisione, Vincenzo Montefusco. “Era bravissimo a tirarli. Un bel destro e nessuna paura. In settimana si allenava anche da giocatore di movimento. Era difficile a quei tempi vedere un portiere bravo con i piedi. Lui lo era, ma scelsi di far tirare lui per la testa. Sui rigori, come
nelle scelte di un allenatore, serve decisione. Quando giocavo nel Napoli con Altafini, sul dischetto andava Improta, meno tecnico ma sempre affidabile. Oddi aveva quelle doti, quindi toccava a lui”.

Restava solo da attraversare il campo. “Percorrevo quei metri sicuro di me – ricorda il portiere – ma per un attimo pensai a cosa sarebbe successo se lo avesse parato. Giusto un momento, perché mi ero allenato per quella situazione e mi sentivo pronto”. A undici metri da lui, Mario Ielpo difendeva la porta del Cagliari. Ha fatto le giovanili alla Lazio. Per Oddi, cresciuto nella Roma, è un deja vu. “Il mio primo rigore da portiere l’avevo tirato a 13 anni in un derby della categoria Allievi. Segnandolo”. In area insieme a loro c’è l’arbitro Trinchieri, romano. Cerchio che si chiude, fischio, gol. “Tirai una botta secca da una parte, perché vidi un suo movimento anticipato. Facile. Il secondo invece un po’ meno…”.

Nella ripresa infatti, a pochi minuti dal termine, il destino bussò di nuovo alla porta di Oddi. Secondo rigore. Un altro campo da attraversare, questa volta per chiudere i conti. “Eravamo in vantaggio 2-1. Il Cagliari ci aveva messo alle strette. Tornai sul dischetto. Ielpo non faceva una piega, fermo sulla riga. Intuì la direzione, la sfiorò, ma per fortuna non la prese”. Finì con la gente di Nocera a portarlo in trionfo e con una dedica speciale al suo alano Bambulè, fedele compagno durante gli allenamenti. Ielpo invece si sarebbe consolato col tempo, laureandosi, sei anni dopo, campione d’Europa con il Milan. La Nocerina non ebbe più rigori a favore in quella stagione e retrocesse in uno spareggio a Cosenza contro il Catania e poche settimane dopo fu dichiarato il fallimento. Oddi se ne andò a Ravenna, stessa categoria. “Anche lì segnai un rigore. Contro la Virescit a Bergamo. E nella stessa partita ne parai anche un altro…”.

Poi chiuse la carriera a Cerveteri, nel modo più ironico e crudele: errore all’ultimo penalty dello spareggio contro la Juve Stabia per la permanenza in C2. “Resta un po’ il dispiacere ma purtroppo in questo sport qualche rimpianto c’è sempre. Come quello di aver giocato la maggior parte della carriera su una gamba sola. Quando giocavo nel Palermo, mi distrussi la sinistra a Bari in uno scontro con Aldo Serena. Sono stato fermo un anno, fosse stata l’altra gamba sarebbe stato peggio”. Gli resta magari un po’ di rammarico per non aver mai trovato un gol su azione, come Brignoli. “Sono andato qualche volta a saltare sui corner ma non è mai arrivata la palla buona. Peccato, sarebbe stata una bella emozione”.

Oggi ha 61 anni e allena sul litorale romano tutti i portieri del Ladispoli, dalla prima squadra ai giovanissimi. “Ma non ho mai scelto rigoristi tra di loro, forse sono più tradizionalista di Montefusco. Per me è importante che parino, basta quello”. Parola di Cesidio Oddi, il numero 1 che, un giorno a Nocera, segnò una doppietta.

 

La favola del portiere goleador: Brignoli ma non solo. Quando l’irrazionale speranza vince sulla ragione

brignoli_golQuella maglia diversa da tutte le altre nel mezzo di un territorio sconosciuto. Lo spirito dell’avventuriero e l’inadeguatezza dell’aspirante eroe per caso. Il cross, la speranza, l’impatto. Gol del portiere, pazzesco. L’ incantesimo del Benevento si chiude con una storia da favola. Il primo punto di un torneo stregato arriva così, all’ultimo minuto, nel modo più incredibile. Alberto Brignoli. È lui il protagonista della fiaba del giorno. Otto presenze in questa stagione, 18 palloni raccolti in fondo alla rete. Fino al 95’ di Benevento-Milan, il gol per lui ha sempre avuto il sapore della sconfitta. È stato sempre così, fino al colpo di testa che ridà speranze a una città e sancisce il trionfo dell’irrazionalità sulla ragione.

Il portiere che segna. Un ossimoro, il gesto disperato e ribelle contro il calcio degli schemi e della preparazione meticolosa. Perché vedere quell’uomo che rompe la sua solitudine e va a mischiarsi in cerca di gloria fa sempre sobbalzare. Mossa estrema, inchino al fato e che Dio la mandi buona. Quasi sempre non accoglie la preghiera, ma quando lo fa è una rivoluzione. Il sussulto di speranza che diventa gioia primordiale. Braccia larghe e corsa urlante. Ha esultato così Brignoli, inseguito dai compagni impazziti e liberati da un incubo. Quasi sempre i portieri gioiscono così. In modo sfrenato e infantile, perché sono impreparati a quel tipo di felicità. Non hanno mitraglie o dita da roteare vicino all’orecchio. Hanno solo quel flash: il pallone che finisce oltre la riga, il merito inusuale di esserne stati i protagonisti. Non hanno pose per i fotografi o gesti in mente. Vivono quella gioia urlandola, increduli, come si fa di fronte a eventi difficilmente ripetibili.

IL GOL DI RAMPULLA

Ne abbiamo già visti, ogni tanto, nel nostro campionato. Il primo a segnare su azione è stato Michelangelo Rampulla in un derby: Atalanta-Cremonese, 23 febbraio 1992.

Bergamaschi in vantaggio con un rigore di Bianchezi a fine primo tempo. I grigiorossi attaccano per tutta la ripresa a caccia del pareggio che non arriva. Poi nei minuti di recupero, l’ultima occasione. Punizione dal lato destro. Una sorta di corner corto. Lo batte Chiorri. Dall’altra parte del campo piomba in area Rampulla. Un’ora prima in quella porta ha raccolto il pallone del rigore subito, questa volta è lui con un tuffo a costringere il collega Ferron alla raccolta. Entrambi nella storia. Sarà proprio Rampulla il primo a consolare il portiere avversario a fine partita. Col tempo rimarrà sempre “l’uomo di quel gol” e un po’ lo maledirà, perché quella rete ha in parte oscurato una carriera passata a non prenderli. Nei dieci anni successivi ha vinto tutto con la Juventus, ma il suo nome evocherà sempre quel ribaltamento di ruoli. Il primo su azione, ma non il primo del calcio italiano del dopoguerra.

LUCIDIO SENTIMENTI, PRIMO PORTIERE RIGORISTA

Il caso vuole che lo stadio fosse sempre lo stesso. E sempre l’Atalanta la vittima. Era il 4 novembre del 1945. Al Mario Brumana, nome con cui si chiamava all’epoca l’impianto che oggi conosciamo come Atleti Azzurri d’Italia, la Juventus ottiene il pareggio in extremis con un rigore battuto da Lucidio Sentimenti. Il portiere bianconero andò a calciare perché Silvio Piola non si sentiva in condizione di tirare.

Gol, ma Sentimenti lo aveva già fatto un’altra volta, prima che il conflitto mondiale fermasse vite e palloni. Stagione 1941/42, Napoli-Modena al San Paolo. Lucidio difende la porta degli emiliani, il fratello Arnaldo è invece il portiere della squadra di casa. È conosciuto come pararigori. Ne ha già presi sei in campionato. Un Handanovic ante litteram. Nessuno vuole confrontarsi contro di lui. Ha già ipnotizzato gente come Bernardini e Piola. Il Modena, sotto 2-0, guadagna un rigore. Nessuno vuole prendersi la responsabilità. Nessuno, a parte il fratello minore che lo conosce da sempre. Sentimenti II contro Sentimenti IV. Parenti serpenti. “Che sei venuto a fare tanto te lo paro”, dice Arnaldo. “Non metterci le mani, tiro forte”, risponde Lucidio. E alla fine ha ragione lui. Rete e insulti familiari. Alla fine però, quella partita la vince comunque il Napoli.

Lucidio Sentimenti chiuderà la sua carriera con 5 reti realizzate, tutte dal dischetto. Uno talmente bravo con i piedi che la Juve lo utilizzò anche come ala destra in un anno in cui aveva le dita della mano destra fratturate. Il portiere più prolifico del nostro campionato, meglio di Antonio Rigamonti, che negli anni ’70 andò a segno tre volte dal dischetto. Con la maglia del Como, per volontà di mister Marchioro. Lontanissimo dai goleador dell’epoca moderna visti in altri tornei: Rogerio Ceni, leggendario portiere brasiliano del San Paolo, fra punizioni e rigori è andato a segno 120 volte. Quasi il doppio del paraguaiano Chilavert, autore di 62 reti e perfino di un’ineguagliata tripletta nel ’99 con la maglia del Velez

DA TAIBI AD AMELIA

Ma il portiere che calcia da fermo non ha lo stesso fascino del gol disperato su corner. In settimana Milinkovic Savic, estremo difensore del Torino aveva colpito una traversa su punizione nei minuti di recupero contro il Carpi. Forse era il segnale che qualcosa di magico stava per accadere di nuovo. L’ultima rete di un portiere in serie A l’aveva segnata Massimo Taibi, aprile 2001, in un Reggina-Udinese. Corner all’ 87’, calabresi in svantaggio, il portiere reggino si avventa in area e di testa trafigge Turci. Gol del pareggio, come quasi sempre succede, perché nessuno osa mandare in avanti l’ultimo baluardo quando c’è ancora un risultato da difendere. Ci ha provato Buffon in quell’Italia-Svezia che vorremmo non aver mai vissuto ma sarebbe stata comunque una vittoria parziale prima dei supplementari.

Una volta però qualcuno ci è riuscito. Fabio Coltorti, svizzero di Locarno, numero 1 del Lipsia nel 2015. Lontani dai fasti attuali, i tedeschi si trovavano nella Zweite Bundesliga a caccia della promozione. In uno scontro diretto contro il Darmstadt serviva solo vincere. Per questo sull’1-1 nei secondi finale anche Coltorti si butta nella mischia. E segna clamorosamente con una girata di destro, dopo un pregevole quanto casuale controllo mancino. Vittoria del Lipsia, che quell’anno non riesce a salire, ma negli anni successivi inizierà la scalata al calcio europeo.

Momenti eccezionali, come il colpo di tacco con cui il danese Martin Hansen dell’ADO Den Haag aggancia il PSV Eindhoven in una gara di Eredivisie. Forse la rete più bella mai segnata da un portiere, al pari della rovesciata del sudafricano Oscarine Masuluke, portiere del Baroka Fc contro gli Orlando Pirates.

Storie di gol lontani ed eroici. L’ultimo di un portiere italiano fu messo a segno invece in una competizione europea. Era il novembre del 2006, fase a gironi di Europa League, Partizan Belgrado-Livorno. A quattro minuti dalla fine i toscani si trovano sotto. Punizione dal lato sinistro, Marco Amelia, contro il volere di mister Arrigoni, si precipita in area. Il Livorno ha bisogno di un punto per tenere vive le speranze di qualificarsi ai sedicesimi di finale. Lo ottiene proprio così, con un’incornata del suo portiere, che esulta come forse non aveva fatto neanche a Berlino pochi mesi prima.

Gioie uniche, momenti di follia che aiutano a non crescere. Pazzie che a volte si “ereditano” in famiglia. Come successo agli Schmeichel, Petar e Kasper, padre e figlio a segno con le maglie del Manchester United e Leicester. Magie di un momento destinate a restare per sempre.

Perché, si sa, la speranza è sempre l’ultima a morire. E nel calcio, quella speranza, spesso la riconosci facilmente: ha una maglia diversa da tutte le altre e si trova in mezzo a tante divise uguali tra loro. E ogni gol segnato da lei è una piccola favola che non muore mai.