Enrico De Nicola, il Presidente provvisorio

Enrico De Nicola, Presidente dal 1946 al 1948

Enrico De Nicola, Presidente dal 1946 al 1948

“M’inchino con animo reverente e commosso di fonte alla volontà sovrana dell’Assemblea Costituente. In fede, Enrico De Nicola”. Era il 28 gennaio del 1946 e l’Italia aveva appena eletto il suo primo Presidente della Repubblica. Al primo scrutinio, con una maggioranza schiacciante: 396 voti su 504. De Gasperi, Togliatti e Nenni avevano deciso.

Quel giurista napoletano che due anni prima aveva convinto il re Vittorio Emanuele III a trasferire i poteri al figlio Umberto, era l’uomo perfetto da cui ripartire. Meridionale, di simpatie monarchiche, politicamente moderato, De Nicola rappresentava la figura più adatta per unire un Paese ancora lacerato da profonde differenze ideologiche e geografiche.

E avevano convinto anche lui, uomo schivo e ostinatamente titubante. “De Nicola decida di decidere se accetta di accettare”, scriveva Manlio Lupinacci, prendendolo in giro dalle colonne del “Giornale d’Italia”.

De Nicola si fece pregare. Ma decise di accettare, senza rinunciare alla sua proverbiale austerità. Arrivò a Roma alla guida di un’ utilitaria.

In ritardo di un’ora e mezzo rispetto all’ora stabilita, ma farsi desiderare era una civetteria a cui non sapeva rinunciare. Rifiutò l’indennità da presidente, pagando di tasca propria perfino i francobolli della corrispondenza privata. Si stabilì a palazzo Giustiniani, rinunciando al trasferimento al Quirinale

“Sono un Presidente provvisorio. Non sono degno di vivere in una residenza per reali e pontefici”. Scrisse il discorso di insediamento, ma, unico nella storia presidenziale, lo fece leggere a un altro. A Saragat, all’epoca presidente dell’Assemblea Costituente. Gentiluomo vecchio stampo, era un celibe fascinoso ed elegante. Evita Peròn, in visita a Roma, lo definì “encantador”.

E pensare che concedeva davvero poco al look. Indossava sempre un cappotto scuro. Che inevitabilmente si logorò. Lo portò in una sartoria di fiducia per farlo rimettere a posto. L’attaccamento all’abito si mescolava all’attitudine a vivere facendo sacrifici. Tirò fuori il portafoglio per pagare, ma il sarto fu inflessibile. “Se un Presidente della Repubblica è costretto a farsi rivoltare un cappotto, io non ho diritto a essere pagato”.

Andò su tutte le furie solo quando fu costretto a firmare il Trattato di pace del 1947. De Nicola lo riteneva iniquo, ma la carica che rivestiva gli imponeva una sola scelta. Il foglio rimase sulla scrivania di palazzo Giustiniani per 24 ore. Sabato 6 settembre appose la sua firma. La decisione l’aveva presa il giorno prima, ma il sangue napoletano aveva prevalso sul dovere istituzionale, Per scaramanzia, un atto del genere non poteva essere firmato di venerdì.

De Nicola firma la Costituzione. L’ultimo a sinistra è Alcide De Gasperi.

Silenziosamente, sperava in una riconferma alle elezioni del 1948, anno di entrata in vigore della Costituzione. Ma anche delle prime elezioni politiche dell’era repubblicana. La travolgente affermazione della Dc consegnava l’Italia nelle mani di Alcide de Gasperi. E lo statista trentino aveva altri progetti. Lo definiva “un grande direttore d’orchestra senza una pagina scritta da lui”. Pochi giorni prima delle elezioni presidenziali, il capo gabinetto di De Nicola fece portare al Quirinale un letto d’ottone gradito al capo di Stato.

Ma non era più tempo per lui e su quel talamo non poggiò mai la testa. Nel 1956, fu per breve tempo presidente della neonata Corte Costituzionale. Lasciò la carica in contrasto con il governo, accusato di intralciare l’opera di democratizzazione delle istituzioni giudiziarie. Una mossa in linea con l’onestà che aveva dimostrato lungo tutto il suo percorso nelle istituzioni.

Morì nel 1959 nel suo rifugio di Torre del Greco a causa di una broncopolmonite. Ma a ucciderlo fu la cortesia alla quale non sapeva rinunciare. Quel giorno era raffreddato. Il deputato Ferdinando Tambroni, uomo che l’anno successivo da Presidente del Consiglio rischierà di far precipitare il Paese in una guerra civile concedendo ai missini la piazza di Genova per il raduno nazionale, era andato a trovarlo.

De Nicola volle accompagnarlo fino al cancello. La sua gentilezza gli fu fatale. Così come la mancanza di un cappotto che lo riparasse dalle intemperie.

 

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