Io e Raif Badawi siamo nati lo stesso giorno. Il 13 gennaio. Lui nel 1984, due anni prima di me. Martedì era il nostro compleanno. Lo abbiamo festeggiato in modo diverso. Io stavo a casa a dare forma a un blog appena nato, cercando di dare sostanza a sogni giornalistici. Lui l’ha passato in una prigione dell’Arabia Saudita, condannato a dieci anni di carcere per aver gestito un blog in cui si parlava troppo liberamente dell’Islam.
Raif non pretende di essere un profeta. E nemmeno io. Voleva soltanto aprire una discussione su quale fosse il ruolo nella società moderna di Maometto e degli altri punti di riferimento della sua religione. Per questo, lo stesso stato che ha “fermamente condannato” gli attacchi di Parigi, non lo ha solo rinchiuso in una prigione di Gedda. Gli hanno inflitto una punizione esemplare: mille frustate in piazza davanti alla moschea della città saudita.
E mica tutte insieme. Una somministrazione omeopatica. Cinquanta frustate per venti venerdì consecutivi, a partire dal 9 gennaio. Le prime sono già arrivate sulla pelle, nelle stesse ore in cui si dava la caccia ai criminali parigini. Mentre il mondo apriva cancelletti proclamandosi Charlie, per lui si richiudevano le porte della galera. E si riapriranno soltanto ogni venerdì, per qualche doloroso minuto.
Frustate e frustrazioni si accavallano. Né io, né Raif cambieremo il mondo, anche se da testardi e utopisti Capricorno ogni tanto sogniamo di farlo. Quando lui ha cercato di farlo, uno stato confessionale con cui facciamo affari regolarmente, gli ha ricordato di abbassare la cresta. Glielo ricorderanno per mille volte. Sempre che non muoia prima, come teme la moglie fuggita in Canada con i figli.
Amnesty international Italia ha iniziato una battaglia in sua difesa. Giovedì 15 gennaio, venti manifestanti si sono riuniti davanti all’ambasciata dell’Arabia Saudita a Roma. Pochi e smarriti. Una ventina di David di fronte a un colosso che non sente ragioni. Si ritroveranno lì davanti, in via Pergolesi, ogni giovedì, alla vigilia delle 50 sfumature di fanatismo saudite.
Chi crede in Dio, qualsiasi nome esso abbia, non può accettare tutto questo in silenzio. Quelli che credono nella libertà di espressione, tutti quelli che sono stati Charlie la settimana scorsa, non possono cadere nell’ignavia pochi giorni dopo.
Gli hashtag, le copie andate a ruba di Charlie Hebdo ovunque, i cartelloni, resteranno solo un atto di feticismo emotivo senza un impegno costante.
Se siete stati Charlie, non potete non essere Raif.
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