La “Mafia Capitale”. O, per dirla con le parole di Massimo Carminati, il “mondo di mezzo”. Questa volta non è un film, né un libro. Ma uno spaccato della realtà. Criminale, ovviamente. E grottesco, come nella migliore tradizione delle storie italiane. Un racconto in cui i “cattivi” hanno soprannomi che fanno sorridere. Con intercettazioni che rivelano una gestione del potere spregiudicata e farsesca. Dialoghi intrisi di romanesco e spavalderie. Come in un film, come se fossero personaggi usciti dalla penna di uno scrittore. E alcuni di loro, in realtà, hanno già ispirato registi e sceneggiatori.
Uno su tutti: Massimo Carminati, 56 anni, nato a Milano e arrivato nella Capitale da adolescente. Senza lasciarla più. Diventando “il re di Roma”. Così si definiva lui, così lo aveva già incoronato sulle colonne dell’Espresso il giornalista Lirio Abbate. Alla sua figura era ispirato il personaggio del “Nero” nel Romanzo Criminale, scritto dall’ex magistrato Giancarlo De Cataldo. “Il libro è abbastanza veritiero, ma la serie televisiva è una buffonata”, afferma Carminati in un’intercettazione del gennaio 2013. Il film invece gli era piaciuto, anche se solo la storia raccontata da History Channel incontrava pienamente il suo gusto. Il “Nero” però è un nome di fantasia. La malavita di oggi lo conosce come “il Cecato”. O “il Pirata”. Tutta colpa di una sparatoria del 1981 con le forze dell’ordine. Perse un occhio, ma acquistò ulteriore credibilità negli ambienti della criminalità romana. Frequentava il Fungo, una mastodontica struttura dell’Eur, in cui passava le giornate con due compagni di scuola: Alessandro Alibrandi e Valerio Fioravanti, figure di spicco dei Nar, nuclei armati rivoluzionari. Un gruppo neofascista, di cui lo stesso carianti entra a far parte. Un’organizzazione responsabile di 33 omicidi fra il ’77 e l’81, implicata anche nella strage di Bologna del 1980. E sempre nel quartiere nato durante il ventennio fascista, Carminati entra in contatto con la Banda della Magliana. Il boss Franco Giuseppucci, che nella rappresentazione mediatica passerà alla storia come “il Libanese”, lo tiene in grande considerazione. “Il Cecato” ha fama di duro e nelle azioni di recupero crediti è spesso in prima linea. In più, ha grande dimestichezza con le armi. I capi della banda gli danno libero accesso al deposito di armi di via Liszt, sempre all’Eur. Più precisamente, nei locali del ministero della Sanità. Criminalità e potere che si toccano, ieri come oggi. Viene assolto per non aver commesso il fatto nel processo per l’omicidio di Mino Pecorelli e in quello sulla strage di Bologna. Riesce a scamparla anche nel caso dell’omicidio di Fausto e Iaio, due militanti di estrema sinistra, assassinati a Milano nel 1978. Fino al 1998, quando viene condannato a 10 anni nel corso del maxi processo alla Banda della Magliana. La pena gli verrà ridotta a sei anni e mezzo. Si parla di un suo coinvolgimento nel furto al caveau della Banca di Roma dentro il Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio. Un colpo da 50 miliardi di lire, avvenuto nel luglio del ’99. Oltre ai soldi, spariscono anche documenti riservati di grande importanza. Il Carminati del nuovo millennio abbandona le armi e si dedica a un lavoro di abile tessitura fra criminalità e politica.
Salvatore Buzzi è il suo principale interlocutore. L’altro “re di Roma”, l’uomo delegato a trattare con la sinistra capitolina. Carminati da una parte, Buzzi dall’altra. Camerati e compagni che si stringono la mano. Al bando le ideologie. L’unico obiettivo è spartirsi gli affari. E in questo il “compagno” Buzzi è un fuoriclasse. Dopo aver passato gli anni ’80 nel carcere di Rebibbia per omicidio doloso, esce nel 1991. E perfeziona un progetto ambizioso: la Cooperativa 29 giugno, un’associazione nata dietro le sbarre nel 1985 che mira al reinserimento degli ex detenuti nel mondo del lavoro. Trova l’appoggio delle giunte di centrosinistra. Prima Rutelli, poi Veltroni gli danno ampio credito. La cooperativa allarga i suoi confini. Nata come onlus, arriva a fatturare fino a 60 milioni, ottenendo una sorta di monopolio sulla gestione degli immigrati. In un’intercettazione con la collaboratrice Piera Chiaravalle, Buzzi dice che “tutti i soldi utili li abbiamo fatti sugli zingari, sull’emergenza alloggiativa e sugli immigrati, tutti gli altri settori finiscono a zero”. Un business sulle spalle dei più deboli, il contrario dello scopo sociale sbandierato in origine. Investimenti nei campi nomadi, gestione degli alloggi, rapporti stretti con la politica. L’ex detenuto è una sorta di dea Calì in grado di mettere le mani ovunque, facendo la spola negli uffici del Campidoglio per ritagliarsi favori e privilegi.
In quelle stanze conosce l’ex vice capo di Gabinetto della giunta Veltroni, altra figura cruciale di questa vicenda. Un uomo che oggi siede al tavolo di coordinamento nazionale sull’accoglienza per richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale. Il suo nome è Luca Odevaine. Un dirigente senza soprannomi, ma con un cognome acquisito. Originariamente si chiama Odevain. La vocale finale l’ha fatta aggiungere per cancellare il ricordo di un peccato di gioventù. Una condanna per droga risalente agli anni ’80. Storia vecchia per lo Stato italiano, ma non per quello americano che nei mesi scorsi gli nega il visto d’ingresso negli Stati Uniti, smascherando l’aggiunta della “e” nel cognome. Secondo l’accusa, Buzzi gli avrebbe versato 5mila euro al mese per aprire nuovi centri e trasferire i migranti in strutture amiche. Secondo il giudice che ne ha disposto l’arresto, l’ex braccio destro di Veltroni era pronto a trasferirsi in Venezuela. Là avrebbe trasferito buona parte degli assegni versati da Buzzi. Un luogo familiare: la moglie, conosciuta a Roma, proviene dal paese sudamericano.
Mafia Capitale non si ferma alle storie del “pirata”, del “compagno” e dell’uomo che ha cambiato cognome. Fra i 37 arrestati ci sono altri personaggi di spicco del potere capitolino. E anch’essi sono dipinti con nomignoli e vezzeggiativi. Figure del calibro di Riccardo Mancini, ex reggente dell’ente Eur, società che gestisce il quartiere romano. In molti lo considerano il vero sindaco di Roma nel quinquennio di Gianni Alemanno. Carminati e Buzzi parlano di lui appellandolo con epiteti suini. A volte è il “porcone”, altre è il “maialotto”. In ogni caso è l’uomo che, secondo i giudici, garantisce cupola sulla concreta realizzazione dei progetti dell’organizzazione. “È lui che ce stà a passà i lavori ‘bboni”, dice Carminati al telefono. Dall’altra parte della cornetta c’è Riccardo Brugia, altro frequentatore del Fungo, noto nella comitiva come “il fascio boro”. Conosce Mancini dagli anni ’70 ma non si fida di lui. “Compà, lo so. Io gli ho menato eh?”, lo rassicura “il Cecato”, garantendogli la fedeltà del braccio destro di Alemanno. Del resto anche Mancini è cresciuto all’ombra del Fungo. “Abbiamo fatto dieci processi insieme quando eravamo ragazzini”, insiste il boss in un’intercettazione del febbraio 2013. Ancora non può sapere che presto ci sarà anche l’undicesimo.
Nelle telefonate raccolte dai magistrati gli epiteti sovrastano i nomi veri. Protagonisti e comparse. “Er Cicorione”, “er cane”, “er miliardario”, “o Curto di Montespaccato”, “Massimetto la guardia”, “a Forfora”. Appaiono e scompaiono. Molti non hanno ancora né un’identità, né un volto. Altri invece sono già ben definiti. Per esempio “il Tanca”, al secolo Franco Panzironi, ex amministratore delegato dell’Ama, la società che si occupa di gestire la spazzatura della Capitale. Un vero e proprio collante, capace di controllare l’ente municipalizzato anche dopo averne lasciato il comando. E di facilitare, secondo i pm, i rapporti tra Carminati e Alemanno. Sul ruolo di Panzironi e Mancini, che già nel recente passato hanno avuto guai giudiziari per casi simili, gli inquirenti si aspettano chiarimenti da parte dell’ex sindaco, che al momento risulta solo indagato.
Ai tempi della sua giunta, Dagospia lo aveva ribattezzato prima “Retromanno” per le frequenti marce indietro, poi “Aledanno” per i continui incidenti di percorso. Nomignoli che lo facevano anche sorridere. Quelli dei personaggi di questo nuovo romanzo criminale difficilmente gli porteranno il buonumore.
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