Zidane, unico profeta di Saint-Denis

Coupe du Monde 98

Zinedine Zidane, eroe della notte di Saint Denis.

Che bella quella notte a Saint-Denis. Era il 12 luglio del 1998, il momento che i francesi aspettavano da una vita. La finale della Coppa del mondo in casa. Migliaia di bandiere tricolori e 80 mila ugole orgogliose che cantano la Marsigliese, l’haka vocale di un popolo abituato a combattere.

Fußball-WM: Zinedine Zidane küßt den Weltcup

Zidane bacia la Coppa del mondo. È il 12 luglio 1998.

Quella notte la Francia vinse 3-0 contro il Brasile. Campioni del mondo per la prima volta. Capitan Deschamps che alza il trofeo in mezzo a milioni di coriandoli rossi, bianchi e blu. Laurent Blanc che bacia la pelata di Fabien Barthez, mentre 60 milioni di francesi accarezzano idealmente il capo fatato di Zinedine Zidane, autore dei due colpi di testa decisivi.

Due zuccate di un marsigliese, figlio di un pastore musulmano algerino. Suo padre, Smail, era arrivato in Francia dal nord dell’Algeria per cercare lavoro nel 1953. Nove anni passati a fare il muratore a Marsiglia, in un’epoca in cui i muri diventano strumenti politici e le colonie ottengono l’indipendenza. Succede anche in Algeria, nel 1962.

Smail Zidane vorrebbe tornare là, è già con un piede sulla nave quando uno sguardo lo inchioda a Marsiglia. E’ quello di Malika, francese e originaria, come lui, della Cabilia. L’Algeria può attendere. Smail e Malika ci mettono poco a diventare i coniugi Zidane. Fanno cinque figli: quattro maschi e una femmina, Lila. A Berlino in una finale, otto anni dopo, l’eroe dello Stade de France la difenderà con una testata più amara ma ugualmente decisiva.

Zinedine è l’ultimo a nascere, nel 1972, dieci anni dopo il rendez-vous marsigliese. Diventerà il figlio prediletto della Francia post coloniale, il simbolo di una nuova generazione che vede nel pallone lo strumento per emanciparsi. Il suo nome in arabo significa “la bellezza della religione”. Nella Parigi del 1998 è Napoleone, Re Sole e Marianne fusi in un solo corpo. E’ l’idolo di tutti, dalle banlieues a Versailles. La Francia è ai suoi piedi e grazie a loro una popolazione eterogenea riscopre la grandeur. 

Zizou aggira le barriere in campo e fuori. Traiettorie magiche sull’erba e carisma pacato di un ragazzo del popolo che ce l’ha fatta. In quell’estate del ’98 i sociologi parlano di “generazione Zidane”, di un Paese che scopre la sua nuova identità meticcia e ne prende vigore. La nazionale che sconfigge il Brasile è un mix di francesi di prima, seconda e terza generazione. C’è chi viene dal Senegal o da Capo Verde come Vieira e Karembeu. Ci sono gli armeni Boghossian e Djorkaeff. C’è il basco Lizarazu ma anche l’argentino Trezeguet. Desailly è nato in Ghana, mentre Thuram – eroe della semifinale con la Croazia – è della Guadalupe.

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La Francia campione del mondo 1998

Quel 12 luglio sono tutti in campo, accanto a Leboeuf, Deschamps, Guivarc’h. Chi se ne frega delle loro origini. Sono la Francia. La nuova Francia. Tutti al servizio di Zinedine. Un dio laico che non si fa mai pregare, né sotto porta, né quando c’è da regalare un sorriso ai ragazzi delle periferie. Gente come lui, che s’identifica nel suo numero 10 e nella sua scalata scalata.

Quell’estate “la bellezza della religione” fece esplodere di gioia lo Stade de France. Diciassette anni dopo, Bilal Hadfi, francese musulmano, avrebbe provato a fare la stessa cosa. Senza gioia però.

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Bilal Hadli, kamikaze francese che si è fatto esplodere nei pressi dello Stade de France

Senza il 10 sulle spalle e senza palla al piede. O forse sì, con quella di chi è destinato a essere prigioniero. Di paranoie pseudo-religiose. Dell’abbaglio di chi ha intravisto confusamente la luce in fondo al proprio tunnel. Aveva vent’anni. Voleva la strage, si è dovuto accontentare di un goffo suicidio senza ulteriori vittime. Morto per difendere l’onore del profeta Maometto nel luogo che riconosce un solo profeta: Zizou, la bellezza della religione. La sola che unirà sempre Saint-Denis.

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