
I Giovanissimi del Parma. Anno di nascita 2000-2001. Alle 17 a Chianciano si giocano lo scudetto contro l’Inter
Fallire, a 14 anni, ha un sapore diverso da quello dato dagli adulti. È un bacio non ricevuto a una festa, la prima caduta dal motorino o una punizione familiare per un brutto voto. Piccoli e banali fallimenti. A quell’età, fallire è gratuito e consigliato. Tutta esperienza, dicono. E dopo un po’ non si cade più, si trova il modo di sfangarla fra i banchi e alle feste. Labbra su labbra, mese dopo mese, si cresce.
Fallire dopo 102 anni, invece, è una via senza ritorno. Non c’è una morale da cercare ma solo saracinesche da abbassare e conti che non tornano, né torneranno mai. Il Parma è finito così, dopo sei mesi di agonia, schiacciato da un debito di 218 milioni di euro. Fine orribile di un anno tragico. Una marcia trionfale suonata al contrario. Fino a spegnersi. Al Tardini l’Aida di Verdi, fedele sottofondo dei calciatori parmensi all’ingresso in campo, non risuonerà più per molto tempo.
Eppure, in questa stagione da tregenda, c’è spazio per una favola. Non una fiaba per bambini, ma una storia pazzesca scritta da sbarbati adolescenti. A scriverla sono i Giovanissimi del Parma. Un gruppo di ragazzi nati nel 2000 e 2001, stagione in cui gli emiliani schieravano Buffon in porta, protetto da Cannavaro e Thuram. Questa squadra sarà l’ultima a portare il nome del Parma Fc in una competizione ufficiale e lo farà in una finale scudetto. In una surreale domenica di giugno, a Chianciano, provincia di Siena, un manipolo di quindicenni inseguirà un titolo che non troverebbe mai una bacheca. Un tricolore che non potrebbe mai essere cucito su una maglia che da lunedì non esisterà più. E proprio per questo, Parma-Inter è davvero una partita speciale.
Associare queste due squadre a una sfida decisiva per lo scudetto fa venire in mente il 2008. Era il 18 maggio e Ibrahimovic sotto la pioggia regalava il titolo all’Inter di Mancini, spedendo il Parma in serie B. I ragazzi che andranno in campo a Chianciano erano alle elementari all’epoca e forse non se la ricordano. Qualcuno che non dimentica quella doppietta fatale però c’è di sicuro. Si chiama Emmanuel Manu Gyabuaa, il 21 settembre compirà 14 anni, gioca col numero 10 e fa cose che a quell’età è difficile solo immaginare. Zlatan è il suo idolo e in qualcosa è già più avanti di lui: Manu ha il 48 di scarpe. L’asso svedese del Paris Saint Germain solo il 47. Venerdì ha segnato il gol che ha aperto la semifinale contro il Milan, vinta poi 2-1 con rete decisiva di Andrea Adorante, un centravanti del 2000 già nel mirino della Juventus. Pochi giorni prima, Gyabuaa aveva incantato tutti con una tripletta contro il Genoa. Un gigante in mezzo ai bambini, se non fosse che bimbo lo è ance lui.
La semifinale Parma-Milan
Nato a Monaco di Baviera e cresciuto nella bassa emiliana, Emanuel ha l’arroganza consapevole di chi sa di essere troppo più forte dei coetanei. Lo si capisce dalle giocate in campo e dalle frasi sui social network. Ride quando parlano di un interessamento del Manchester City per lui, ma la verità è che raramente si è visto uno così forte a quell’età. Gioca da centrocampista centrale, come Pogba, ma fa la differenza in qualsiasi zona del campo.
Accanto a lui, qualche metro più avanti, c’è Alex Guehi, un ragazzo ivoriano del 2000 che ha portato il Parma a giocarsi con queste finali con una doppietta nello spareggio contro il Torino. Ha il dribbling nel sangue e la porta sempre negli occhi. Uno che ha tutto per farcela. Così come Federico Adorni, portiere della nazionale under 15, forse il vero erede di quel Gigi Buffon che entusiasmava il Tardini mentre lui emetteva i primi suoni. Nomi che sopravviveranno alla fine del Parma calcio, ma che per un pomeriggio saranno gli ultimi alfieri di una storia centenaria. Così piccoli e con una responsabilità così grande.
Il loro allenatore, Maurizio Neri, è uno che ha giocato nel Napoli di Maradona e suonato con i Timoria. È rock senza bisogno di finti giovanilismi. Ha visto i primi soldi solo qualche settimana fa grazie al lavoro dei curatori fallimentari, ma non ha mai pensato di abbandonare i suoi ragazzi. Impoverito nel portafoglio, arricchito nell’anima da un gruppo che andava in campo ad allenarsi e tornava negli spogliatoi senza la certezza di trovare panche e sedie. Pignoramenti, debiti, sequestri. Ogni giorno come se fosse l’ultimo. Fino a questo incredibile 28 giugno. L’ultimo giro di giostra concesso a un gruppo di bambini che aspetta solo di vedere il pallone a centrocampo. Poi sarà sfida all’Inter. A un gruppo di coetanei, gli stessi da cui ricevettero un passaggio in pullman quattro mesi fa per arrivare a Pescara a giocarsi la Nike Cup. I pulmini della società erano già finiti in qualche asta giudiziaria e i nerazzurri si mossero per non lasciare a piedi i sogni di quelli che suona strano anche chiamare avversari.
Alla fine l’Inter l’ha pure vinta quella coppa, in finale proprio contro quelli che aveva scarrozzato e che adesso vogliono la rivincita. Vincere uno scudetto, esultare e poi sparire. Coriandoli di gloria lanciati da ragazzini per coprire la sfilata di pagliacci mascherati da imprenditori. Se il Parma calcio ha un debito che lo costringe a chiudere i battenti, il mondo del calcio ne ha uno con questi quattordicenni capaci di regalare un’emozione che non potrà più tornare. Non con quella maglia. È arrivato il giorno finale. Poi saranno fazzoletti o abbracci. Poi non resterà nulla. O forse rimarrà ogni singolo minuto di una finale che idealmente, giocano giovanissimi, anziani, donne di Parma e tutti quelli che per mesi hanno lavorato senza mai vedere un euro.
Alle 17 a Chianciano l’Inter affronta una squadra che, senza retorica, non ha domani. In tribuna più di qualcuno è pronto a far risuonare l’Aida per l’ultima volta da casse portatili. Una marcia trionfale comincia sempre con un piccolo passo. E finisce solo con l’ultimo passo.
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