Una porta da oltrepassare e una in cui fare gol. La prima è liquida, senza traverse né pali, con un portiere invisibile pronto a respingere ogni tentativo. Anche quelli disperati, quelli da finale di partita, quando non hai più nulla da perdere. L’altra, se nasci in Ghana in una famiglia che fatica ad arrivare a fine giornata, esiste solo se qualcuno riesce a bucare la prima. Se l’anno prossimo Godfred Donsah potrà attaccare la porta dello Juventus Stadium, sarà grazie al coraggio di suo padre che otto anni fa è entrato in porta prima di lui. Senza pallone, a bordo di un barcone. A Lampedusa, la porta d’Europa.
Era il 2007. Un anno difficile per l’economia ghanese, alle prese con il cambio della moneta e con una crisi delle esportazioni. Come tante famiglie di Accra, la capitale, i genitori di Donsah lavorano nelle piantagioni di cacao. Il Ghana è il secondo produttore mondiale dopo la Costa d’Avorio della pianta ma il Paese è cosparso di miseria. Il 28% dei ghanesi vive sotto la soglia di povertà e a casa del gioiellino del Cagliari le cose non sono troppo diverse. Twaku Tachi, padre di Godfred, decide che è il momento di andare. È una decisione ponderata, sofferta e improrogabile. Ha messo via un po’ di soldi per affrontare il viaggio. Sa di non averne abbastanza per mandare avanti la sua famiglia: una moglie e tre figlie. E Godfred, undici anni, ormai l’unico uomo di casa.
Twaku parte per l’Italia, il tempo supplementare delle sue speranze. Non potrà più guardare crescere suo figlio, lo stesso con cui l’estate precedente commentava il mondiale in Germania. Quello che vincemmo noi, quello iniziato con Italia-Ghana 2-0. Nella coppa del mondo non c’è andata e ritorno. L’ avversario va affrontato una volta, dando tutto, senza pensare a gestire le energie. Il mondiale di Twaku Tachi è quel viaggio Accra-Lampedusa, un’andata che non prevede ritorno, affrontando squadre libiche che hanno un concetto di catenaccio fin troppo letterale. La piattaforma su cui s’imbarca il padre di Donsah è un calcio d’angolo a tempo scaduto con la confusione in area e il portiere che sale a cercare il miracolo. È l’estremo tentativo di salvarsi, è il naturale spirito di sopravvivenza di un padre di famiglia.
Il destino accoglie le preghiere e pochi giorni dopo un clandestino inizia a raccogliere pomodori in Campania. Come Kwaku, il protagonista di Pummarò, il primo film italiano sull’immigrazione moderna. Uscì 25 anni fa, ma potreste trovarlo attuale guardandolo domani. Twaku e Kwaku, entrambi dal Ghana. Realtà e finzione a braccetto, anche nell’idea fissa di puntare verso il nord Italia. Nel film l’immigrato cerca di guadagnare soldi per pagare gli studi all’irreperibile fratello. Nell’Italia del 2007, il signor Tachi cerca di sfamare una famiglia lontana 4500 chilometri. Trova il modo di farlo nella burbera Lombardia, in una Como inizialmente ostile e diffidente. Un lavoro da magazziniere, i primi segni di un’insperata stabilità e la voglia di avere accanto i propri cari. Sono passati quattro anni da quel viaggio Accra-Lampedusa, il tempo che passa fra un mondiale e l’altro. Questa volta tocca al figlio partire, ma grazie a papà Twaku, Godfred può arrivare in aereo.
Ha un permesso di soggiorno temporaneo. Inizia ad allenarsi con le giovanili del Como. La squadra è in Lega Pro e non può tesserare un extracomunitario. È un peccato, perché quel ragazzo che si meraviglia nel vedere tanti ragazzi indossare le scarpe coi tacchetti per calciare un pallone, ha veramente talento. Se ne accorge un ex giocatore di serie A, dirigente del Varese dal 2004 al 2011: si chiama Sean Sogliano e quando diventa direttore sportivo del Palermo pensa subito a quel ghanese che corre senza stancarsi mai. Vorrebbe portarlo in Sicilia per un provino ma per la burocrazia italiana c’è qualcosa che non va. I documenti di Donsah sono scaduti, deve tornare in Ghana. Potrebbe essere la fine dei suoi sogni, ma Sogliano non molla. Godfred viene convocato a Palermo per un provino. Lampedusa non è troppo lontana da lì, chissà quante volte Godfred pensa a cosa significasse la Sicilia per suo padre. A quanto ha sofferto per arrivare su quella terra e per far sì che lui potesse avere una speranza.
Nel Palermo non trova spazio, ma può contare su un amico che gli dà la spinta per continuare a crederci. E’ un suo connazionale, si chiama Afriyie Acquah. Anche lui viene da Accra, ha quattro anni più di lui e una strada già tracciata. Diventano grandi amici, Acquah gli regala le scarpe per giocare. Entrambi sono cresciuti nel mito di Michael Essien, il centrocampista che ha fatto le fortune del Chelsea prima di arrivare da pensionato al Milan. La serie A è lì vicina, ma la burrascosa stagione del Palermo non consente investimenti sui giovani. Il ds Sogliano si dimette prima di Natale, la squadra si salva nelle ultime giornate. Come per suo padre, la Sicilia è solo una terra di passaggio prima di andare al nord. Non più Como, ma Verona, dove Sogliano è andato a fare il dirigente. Godfred arriva in Veneto a 17 anni. Finalmente ha tutti i documenti in regola e nella squadra Primavera fa scintille. L’allenatore, Andrea Mandorlini, lo fa esordire in serie A. E’ il 19 aprile del 2014. Lo stesso giorno, nel 1937, Mussolini varò la prima legge a tutela della razza. Un decreto in cui si vieta agli italiani di sposare donne nere. Oggi ci fa sorridere pensare a quei signorotti a braccio teso che certificano la volontà di tenere alla larga una Naomi Campbell o una Rosario Dawson. Questioni di pelle, di presunta superiorità di una razza sull’altra.
Anche Godfred oggi può sorridere. Può farlo nonostante il suo ultimo campionato, al Cagliari, sia finito con una retrocessione. A 19 anni, alla prima stagione vera in serie A, è stato una delle poche note liete dei sardi. Una furia a centrocampo, una spina nel fianco più avanti: due gol segnati e sprazzi di adrenalina che hanno conquistato la dirigenza della Juventus. Adesso vorrebbero portarlo a ogni costo a Torino, dove è arrivato, sulla sponda granata, anche l’amico Acquah, quello che a Palermo gli regalava le scarpe. Sarebbe un derby speciale al di là di ogni retorica.
E papà Twaku che fine ha fatto? Beh, la vita a volte è una porta che gira. Se tuo figlio improvvisamente guadagna 12 mila euro al mese, se la Juve è pronta a sborsare 6 milioni per averlo, adesso tocca a lui prendersi cura di te. E anzichè raccogliere pomodori nei campi, magari ora puoi vivere cucinandoli per Godfred, in una casa in Sardegna da cui vedi il mare. Forse Godfred andrà a Torino, forse resterà a Cagliari un altro anno, per risalire dalla serie B.
Twaku intanto può sorridere. Le onde che vede da casa sono davvero diverse rispetto a quelle di otto anni fa.
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