Messi, Suarez, Neymar, Iniesta. Tutti nella stessa metà campo, tutti in una quarantina di metri, tutti con la stessa maglia. Basterebbero questi quattro nomi per spiegare la grandezza del Barcellona. Ma il Barça è molto più di qualche fuoriclasse. “Més que un club”. Più di una squadra, come disse Agustì Montal, presidente del Barcellona dal 1969 al 77. Anche grazie a questo slogan, rigorosamente col catalano “més” anziché con lo spagnolo “màs”, diventò il 33esimo presidente del club e a metà mandato riuscì a portare in Catalogna Johann Cruyff, la perla più preziosa del calcio degli anni ’70.
Més que un club è scritto a caratteri cubitali sugli spalti del Camp Nou, lo stadio di casa dei catalani. E, grazie agli scenografi dell’Uefa, l’espressione verrà riproposta anche nel settore riservato ai tifosi blaugrana a Berlino. Un tatuaggio dell’anima per i tifosi “culés”. Non li ho offesi, tranquilli. E ora vi spiego perchè li ho chiamati così. Sapete certamente che gli juventini sono universalmente conosciuti come “gobbi”. Un nomignolo nato negli anni ’50, quando le divise da gioco dei bianconeri, larghe e dozzinali, facevano assomigliare, durante le partite, i calciatori al Quasimodo di Notre Dame. Gobbi per sempre, per un difetto nel vestiario.
Il termine “culés” nasce invece addirittura prima della Grande Guerra. Non per un problema coi pantaloncini, nè per la buona sorte del club catalano. Tutta colpa del vecchio stadio di Barcellona, la leggendaria Escopidora di calle Industria. Un impianto in cui i blaugrana giocarono dal 1909 al 1922, l’epoca dei primi successi. E con le prime vittorie, arrivava sempre più gente sulle tribune dell’Escopidora. Troppa, vista la capienza dello stadio: solo 6 mila posti. Il rimedio che i tifosi adottarono fu molto semplice: arrampicarsi sopra il muro di recinzione e tifare Barça da là sopra. Chi passava da fuori li vedeva ingobbiti e con il sedere mezzo di fuori. I culetti dei tifosi del Barcellona diventarono proverbiali. Da allora un catalano per dire che tifa Barcellona, dice “yo soy culé”.
E un vero tifoso del Barça ha anche un posto speciale in cui festeggia tutti i trionfi della propria squadra. Ce l’hanno tutti, direte voi. La Juventus ha piazza Castello a Torino, la Roma ha il Circo Massimo, le milanesi hanno Piazza del Duomo. In realtà quelli sono semplicemente luoghi di spontanea aggregazione. Anche le Ramblas a Barcellona lo sono, ma i tifosi catalani festeggiano in un punto preciso della celebre strada della città di Gaudì. Esattamente davanti a una fontana, la fuente de Canaletas, zona nord della Rambla. I bagni di folla avvengono lì per una ragione storica.
Negli anni ’30, in un palazzo davanti alla fontana, al numero 13, c’era infatti la redazione del periodico sportivo “La Rambla”. La copertura mediatica del calcio catalano di allora era tutta lì. Senza radio, televisioni, né tanto meno internet, le persone accorrevano sotto la sede del giornale per sapere in anteprima i risultati delle partite fuori casa del Barcellona. Un solerte redattore scriveva su una grossa lavagna il punteggio del Barça. E tutti là sotto seguivano la mano e il gesso. Erano gioie o dolori, boati euforici o mugugni di delusione.
Alla fine di quel decennio, il periodico chiuse i battenti. La guerra civile era diventata una preoccupazione più grande rispetto a un risultato di calcio. Il giornale sparì e con esso anche la “pizarra” dove venivano annotati i punteggi, ma da allora ogni vittoria del Barcellona si celebra ancora là sotto. Tutti sotto un’immaginaria lavagna, tutti bagnati di vino tinto e inebriati di blaugrana. Essere culé non è indossare una maglia con il nome di Messi o Neymar. È andare alla fonte, per ritrovarsi.
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