Sù il sipario. È iniziata un’altra edizione del “Festival della canzone italiana disponibile a farsi fustigare pubblicamente”. Un meraviglioso pretesto italico per parlare, almeno per qualche giorno, tutti della stessa cosa, commentando e contestando la manifestazione che tutti promettono di non guardare ma che, alla fine, fa il 49% di share.
Le 5 giornate di Sanremo sono cominciate alternando momenti di buona musica e infimo intrattenimento, abiti eleganti indossati da vallette a basso costo e canzoni stonate da artisti fuori mercato. Tutto normale, è Sanremo, ultimo baluardo del magazine generalista. Arrivarci è un punto d’arrivo, non andarci un punto d’orgoglio. Non guardarlo, invece, è uno snobismo per pochi. Commentarlo, distinguendo momenti migliori e peggiori, è una gioia rassicurante. Come il Natale a casa, come una famiglia riunita.
Già, la famiglia. È proprio questo il tema sotteso al festival di quest’anno. Una sorta di “abbracciatevi forte e vogliatevi tanto bene” senza l’urlo di Caressa, ma con il ritmo incalzante e bonario di Carlo Conti, conduttore artificialmente abbronzato ma naturalmente a suo agio sul palco dell’Ariston. La dirigenza Rai lo ha scelto per ancorare il pubblico di riferimento della rete: un’audience di mezz’età e di classe medio-bassa che apprezza la sua ritualità. Un Pippo Baudo dei tempi moderni, elegante e alla mano, rituale ma non ingessato. Una prima volta che sa di usato sicuro. Perfetta per una manifestazione che, in linea con il rigurgito democristiano che attraversa la politica quotidiana, mira ad abbracciare il largo pubblico senza turbarlo.
Accanto a lui, vengono messe al bando le pruderie di farfalline inguinali esibite da soubrette esotiche. Largo a presentatrici italiane, che in realtà sono cantanti prestate al nuovo ruolo, due figlie del basso Stivale: Emma e Arisa, una pugliese e una lucana, vallette da spending review e dal basso tasso erotico. Il loro esordio è senza infamia e senza lode. Sono pallide coprotagoniste accanto al mattatore toscano. Non rubano la scena e neanche i soldi del canone. Hanno un cachet ridicolo rispetto alle bellezze delle passate edizioni. Una presenza più modesta che umile, a tratti impacciata, sostanzialmente trascurabile. Combinano spontaneità e inadeguatezza. Alla fine cantano e si emozionano. Se facessero solo quello, ne guadagneremmo tutti.
L’unica “forestiera” è Rocio Munoz Morales, compagna spagnola di Raoul Bova e valletta di rincalzo. Se la serata fosse una partita di calcio, lei sarebbe il quarto uomo. Appare poco, pur senza sfigurare nella sua acconciatura alla Frida Kahlo. Non sgomita e non cerca la visibilità che non le viene concessa. Non ruba il lavoro alle italiane, pur lasciando capire che saprebbe fare di più e meglio. Nell’Italia che registra la discesa a sud di Matteo Salvini, la Rai sceglie di non puntare sull’esterofilia.
E così anche gli ospiti stranieri vengono marginalizzati. Gli ottimi Imagine Dragon vengono relegati dopo la mezzanotte e liquidati rapidamente. Mica siamo a X Factor, pensano evidentemente a viale Mazzini. E così la scena madre viene affidata alla coppia che ha saputo incarnare armonicamente la passata felicità degli italiani di qualche decennio fa. Albano e Romina di nuovo insieme, non troppo felici di esserlo, ma professionalmente disposti ad esibire la loro vocalità congiuntamente. Fanno fatica a guardarsi, ma non si può non guardarli, aspettando un bacio o un ceffone, una risposta al vetriolo o un sussurro d’amore. “Romina mi ha fatto cantare in tribunale”, attacca con un sorriso il cantante di Cellino San Marco. La reunion non sfocia nella riconciliazione. Lasciano il palco lasciandoci il dubbio se la Prima Repubblica fosse meglio o peggio di ora. È quello che ci chiediamo ogni giorno.
Una famiglia fintamente riunita, preceduta sul palco da un’anormale famiglia italiana. Gli Anania, da Catanzaro, padre, madre e 16 figli. Una squadra di calcio compresa di riserve. Uno schiaffo al monito di papa Francesco sul “riprodursi ma non come conigli”. Sul palco, il capofamiglia Aurelio snocciola una valanga di elogi al Signore a alla Provvidenza. Minuti imbarazzanti, da stato confessionale. O confusionale.
Per fortuna ci pensa un gay dichiarato a riportare la meraviglia a Sanremo.L’esibizione di Tiziano Ferro, superospite della prima puntata, è eccezionale esteticamente e vocalmente. Musica vera, altro che canzonette. Quando canta i suoi pezzi storici, gli italiani cercano il telecomando per alzare il volume. Pochi minuti dopo lo cercheranno per abbassarlo o per cambiare canale. Succede quando prende la scena Alessandro Siani, comico napoletano, campione di incassi al cinema col “Principe abusivo”. Per lui una dozzina di minuti tutt’altro che regali, segnati da gaffes come la battuta bullista a un corpulento bambino delle prime file (“oh zio, ma c’entri nella poltrona? Uà, pensavo fosse una comitiva…”) e da freddure raggelanti di vario genere. Un abusivo più che un principe, al pari degli altri pseudo intrattenitori che si sono alternati sul palco con scarse fortune.
Ma c’erano anche le canzoni. E quindi la gara. È difficile dare un giudizio chiaro al primo ascolto. Come nella migliore tradizione del festival, sono più gli scuotimenti di testa rispetto ai sorrisi, eppure gli sprazzi di qualità non hanno esitato a manifestarsi. Benissimo Chiara Galiazzo, vincitrice due anni fa di X Factor e poi rapidamente scomparsa dai radar. La sua “Straordinario”, cantata con sicurezza e trasporto, la riporta ai fasti del talent di Sky. E forse le regala un posto tra i favoriti accanto all’imprevedibile dance di Filippo Neviani in arte Nek, resuscitato interprete degli anni’90. Un bello che fa ballare, forse più da guardare che da ascoltare, ma l’occhio fa sempre la sua parte nei meccanismi di voto sanremesi. Deludono un po’ i giovani Dear Jack: vorrebbero essere i nuovi Modà ma si fermano un gradino sotto ai Finley.
E malino anche Annalisa, l’ex ragazza di “Amici” che canta un pezzo scritto proprio da Kekko dei Modà, facendolo rimpiangere per quasi tutto il brano. Poco incisivo il rapper annacquato Nesli, fratello di Fibra Fibra e sua versione targata San Valentino. La sua “Buona fortuna amore” resta nel limbo. Forse merita un ascolto più attento. O forse solo rassegnata indifferenza. Malika Ayane si conferma interprete elegante ed eterea, sfuggente e sentimentale. Non si capisce molto del suo testo amoroso pluricelebrato alla vigilia. La sua forza è il mistero. Ma forse anche la sua debolezza.
I sei artisti citati sono quelli già sicuri di essere già alla fase finale. Canteranno certamente anche sabato. Altri quattro invece rischiano l’eliminazione venerdì sera. Alcuni sono quasi indifendibili. Assolutamente fuori luogo i vocalizzi di Lara Fabian, Céline Dion del terzo millennio, finalizzatrice di un testo sulla voce. Qualità che certo non le manca, a differenza di una personalità tutta da trovare. Grazia Di Michele e Platinette senza trucco si fanno cantori della diversità. Un momento immancabile in ogni edizione sanremese. Il “politically uncorrect” melodico, buono per lavarsi mani e coscienze. Poteva essere sfruttato meglio.
Fa discutere poi l’inserimento tra i possibili esclusi della ballata di Alex Britti. Il cantautore romano si presenta in nero, impeccabile e affascinante nel mescolare jazz e blues. Spara alto, se ne frega del non avere un ritornello e stona un po’. Ne esce comunque uno dei pezzi più belli della gara. Quindi uno dei possibili esclusi. Così come Gianluca Grignani, traballante nella voce, nei gesti, ma non nei sentimenti. La limpidezza dei suoi “Sogni infranti” cozza contro la sua difficoltà di articolare suoni. Ha abituato un pubblico sempre più ridotto a esibizioni improbabili, ma anche a versi poetici. Più Baudelaire che performer, più Bukowski che Cobain. Ma va bene così.
Tra poche ore è già tempo della seconda puntata. Altri dieci big in gara, l’esordio delle nuove proposte e qualche ospite internazionale. La bellissima Charlize Theron, la barbutissima Conchita Wurst. Tutto nel grande calderone dell’Ariston.
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