Tornare a casa. Come il figliol prodigo. Eppure sentirsi sopportato. Se non peggio. Strano destino quello di Antonio Conte, ct della Nazionale, che stasera torna per la prima volta allo Juventus Stadium, l’arena dei suoi trionfi in bianconero. Tre anni di scudetti vinti in carrozza, tre stagioni da uomo solo al comando, fino all’inatteso addio, a luglio dello scorso anno, a preparazione appena iniziata. Il contrasto con la società per divergenze sul mercato. La voglia di provare una nuova esperienza. La pazza idea di risanare una nazionale a pezzi dopo il mondiale brasiliano. Del resto, con la Juve ci era riuscito, ricostruendo dalle ceneri su fondamenta in cui nessuno credeva più. Un po’ come quello stadio, lo Juventus Stadium, nato laddove c’era il Delle Alpi. La felicità al posto della tristezza. Gli scudetti sul campo che fanno dimenticare quelli persi in tribunale.

18 maggio 2014, ultima giornata stagione 2013/2014. I tifosi bianconeri dedicano un lungo striscione a Conte. Sarà la sua ultima panchina in bianconero
Conte torna sulla sua panchina più di 300 giorni dopo l’ultima volta. Juventus-Cagliari 3-0, ultima giornata dello scorso campionato. Non contava niente ma l’allenatore salentino voleva vincerla a ogni costo quella gara. C’era in ballo il record di punti: 102 in 38 partite, una media senza precedenti. Con il rimpianto di un’uscita prematura dalla Champions, in uno strano pomeriggio a Istanbul, contro il Galatasaray di Snejider e Drogba, richieste di mercato non esaudite dalla dirigenza nell’estate 2014. Di lì la rottura, le parole al veleno di Andrea Agnelli nei suoi confronti, il gelo nei rapporti con i suoi ex dirigenti. Fino a venerdì scorso con l’infortunio fantasma di Claudio Marchisio, l’autore dell’ultimo gol della Juve di Conte in quel 18 maggio contro il Cagliari. In sei ore dalla rottura del legamento crociato a una contusione. Le accuse per i carichi eccessivi di lavoro degli azzurri, i vaffa reciproci, pensati e soffocati a fatica.
“Lasciatemi lavorare”, implora Conte, allarmato dalla scarsa predisposizione alla fatica dei calciatori italiani. “Non devono lavorare così tanto”, rispondono i dirigenti juventini, preoccupati per l’avvicinarsi delle sfide decisive in Europa. Già, la Champions. Sogno proibito di Conte, pensiero stupendo di Massimiliano Allegri, suo erede in bianconero. È già tra le prime 8 e se supererà il non irresistibile Monaco, avrà la finale di Berlino a soli 180 minuti. Oltre ad avere il quarto scudetto consecutivo già cucito sul petto, anche per estinzione di avversari credibili.
L’Europa che stasera Conte respirerà nel suo vecchio stadio ha un sapore completamente diverso. È preceduta da tensioni distruttive e non dall’ansia emozionante dei grandi appuntamenti. Prima della gara risuoneranno un po’ stancamente i rituali inni nazionali e non il jingle delle speranze continentali. Italia contro Inghilterra, le grandi deluse del mondiale brasiliano che si sfidano per vedere a che punto sono i rispettivi lavori di restauro. L’inedita coppia d’attacco Eder-Pellè fra gli azzurri, l’esordio del sorprendente Harry Kane nell’Inghilterra di Roy Hogdson. Sfida di esperimenti, un test importante per Conte in vista degli Europei del 2016, un impiccio per la Juve che si gioca la sua Europa nelle prossime settimane.

Esterno dello Juventus Stadium. A sinistra la scritta “non c’è 2 senza 32”, coperta dallo striscione “benvenuti” (visibile a destra)
Visioni e prospettive diverse. Come quelle dei tifosi che affolleranno lo Juventus Stadium. All’esterno non troveranno la scritta “non c’è 2 senza 32”, orgoglio di una società che continua a pensare ai fatti di Calciopoli con dolore e rabbia. La Federazione ha coperto quello striscione. Motivi pubblicitari ma anche guerra di posizione. La Juve ha chiesto 443 milioni di euro di danni per i due scudetti tolti in tribunale. I dirigenti azzurri non hanno certamente gradito. E i recenti sviluppi giudiziari, con la prescrizione di Moggi e Giraudo che ha sostanzialmente affossato il processo contro quella Juve di dieci anni fa, ha contribuito a riaccendere lo scontro. “Rinunciate ai soldi e possiamo riparlare degli scudetti”, ha tuonato il presidente federale Carlo Tavecchio.
Oggi il numero 1 della Federcalcio e John Elkann, dirigente di punta bianconero, s’incontreranno prima della gara per celebrare la riapertura del Museo Egizio, fiore all’occhiello della cultura torinese. Anch’esso risorge dopo anni di buio. Come ha fatto la Juve, come lo stadio, come vorrebbe fare la nazionale. Sarà l’occasione per parlarsi faccia a faccia, senza scambiarsi accuse mediatiche. Le altre massime cariche bianconere non ci saranno. Andrea Agnelli e Beppe Marotta sono in Svezia per la riunione dell’European Club Association. Forse torneranno in tempo per la gara. In ogni caso, la pace non sarà semplice, ma l’inizio di un dialogo è condizione imprescindibile per la salute del calcio italiano. E anche per quella di Antonio Conte, apparso frastornato e triste nelle ultime conferenze stampa.
Stasera alle 20:45 (diretta Rai Uno) ci sarà il fischio d’inizio dell’arbitro tedesco Brych. È l’unico che il commissario tecnico spera di sentire nello stadio in cui torna per la prima volta da ospite. “Per raggiungere grandi sogni, bisogna fare grande fatica”, ha detto lunedì in conferenza stampa, citando una frase della fiction su Pietro Mennea. Un uomo del Sud che correva contro tutto e contro tutti. Come lui, emigrante di successo, figliol prodigo che torna nella terra delle promesse mantenute. Almeno fino a quel 18 maggio.
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