Chris Wright è un cestista americano di 25 anni che cerca gloria nei campionati europei. Uno come tanti, si direbbe. Da poco più di un mese è sbarcato a Pesaro, dove sta cercando di salvare la squadra locale dalla retrocessione. Salvarsi. Si dice così, nello sport, quando ci si trova a un passo dal baratro. Dimenticandosi che, cadendoci, al massimo si gioca un campionato più scarso, in campi più brutti e con meno pubblico. Un dramma molto relativo.
Chris Wright da Bowie, cittadina del Maryland, non teme di retrocedere. Sa bene cos’è un dramma, vivendolo ogni giorno. Da tre anni combatte ogni giorno lo stesso avversario. Un nemico senza maglia, né passaporto, ma con un nome che terrorizza: sclerosi multipla. Gliel’hanno diagnosticata nel 2012. Era in Turchia. Si stava allenando coi compagni quando è crollato a terra. Per i medici era appena finita la sua carriera. Non avevano fatto i conti con lui. “Ho combattuto, non mi sono arreso. Sapevo che ci sarebbe stato un percorso da fare, ma che alla fine sarebbe stata una bella storia”.
I malati di sclerosi multipla sono circa 2 milioni e 300 mila in tutto il mondo. In pochi riescono a continuare con lo sport, pochissimi riescono a farlo a livello agonistico. Chris invece diventa il primo ad arrivare nell’Nba, la massima lega professionistica americana, con questa patologia. Gioca solo tre partite con i Dallas Mavericks, ma quello che conta è che il suo posto è ancora su quei 28 metri di parquet. A cercare di rubare palla all’avversario, ad attaccarlo a tutto campo come faceva all’università, nella sua Georgetown, ateneo dei gesuiti a un passo dalla Casa Bianca.
(Chris Wright a Georgetown, sua università dal 2007 al 2011)
Nelle sue prime quattro partite italiane ha realizzato una media di venti punti a gara. Nessuna difficoltà di adattamento, carisma e leadership a quintali. Domenica scorsa ha guidato Pesaro alla vittoria contro Reggio Emilia. La penultima che batte la seconda in classifica. Il pubblico marchigiano lo ha già adottato. È una tifoseria calda, che perdona tutto a chi gioca col cuore e lo apre solo a chi sa essere speciale. A gente come Alphonso Ford per esempio, guardia che nel 2004 giocò una stagione da urlo con la maglia dei biancorossi prima di annunciare il ritiro. Aveva 33 anni e due settimane dopo quell’annuncio estivo, morì in un letto di ospedale a Memphis. Teneva nascosta una grave forma di leucemia che lo affliggeva da una decina di anni. Quell’estate la situazione si aggravò, definitivamente. La sua maglia campeggia in alto al Bpa Palas, feticcio intoccabile di un popolo bisognoso di eroi.
Chris indossa la canottiera numero 7. La storia di Alphonso la conosce. La lotta contro un male che non dà tregua, la voglia di andare oltre la commiserazione. Chissà cosa pensa quando guarda quella maglia appesa sopra la sua testa. Non è la sua spada di Damocle. Non vuole affiancarle la sua. Cercherà di passarle il suo sudore, le sue stille, la sua rabbia. Nè scendere, né salire. Chris gioca per restare dov’è. Salvarsi. Sul campo. Grazie al campo.
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