Nessuno fermi quell’orologio. La miracolosa salvezza dell’Amburgo e del Bundesliga Uhr

Una recente immagine del Bundesliga Uhr, l'orologio che scandisce il tempo di permanenza dell'Amburgo nella massima serie tedesca

Una recente immagine del Bundesliga Uhr, l’orologio che scandisce il tempo di permanenza dell’Amburgo nella massima serie tedesca

Il boia del tempo scuote la testa e fa marcia indietro. Ancora una volta. 51 anni, 281 giorni e 5 ore. Poteva fermarsi così l’orologio dell’Imtech Arena, lo stadio di Amburgo. Fra primo e secondo anello, un contatore indica il tempo di permanenza degli anseatici in Bundesliga. Numeri che cambiano ogni secondo, ma che simboleggiano una verità incrollabile: mai retrocessi in serie B. O Zweite Liga, come la chiamano i tedeschi. Gli unici in tutta la Germania a essere sempre stati nella massima serie fin dal 1963, l’anno in cui tutto cominciò.

Anche stavolta l’orologio continuerà a correre. Perché l’Amburgo si è salvato di nuovo, dopo essere arrivato terzultimo in campionato. Lo ha fatto all’ultimo secondo, in un drammatico doppio spareggio contro la terza del campionato cadetto, il Karlsruhe. Un 1-1 casalingo nella gara di andata da togliere il sonno. Poi il match di ritorno, lunedì, nella capitale del Baden. La stessa da cui nel 1984 venne spedita la prima email tedesca della storia. Una città abituata ad anticipare il tempo, ma incapace nel fermarlo.
Eppure il Karlsruhe è stato veramente a un passo dal reset del Bundesliga Uhr.

Gli bastava uno 0-0 per ottenere la promozione. E a 12 minuti dalla fine è addirittura riuscito a passare in vantaggio. Rete di Reinhord Yabo, 23 anni, in contropiede. Il killer del tempo, per qualche minuto. In panchina Bruno Labbadia, l’allenatore dell’Amburgo, guarda l’orologio. Quello che ha al polso, quello che dice che bisogna muoversi. Quelle lancette che da mezzo secolo sono l’orgoglio della città, corrono verso il loro annullamento. Novantesimo. Il tempo è scaduto. C’è solo da recuperare qualcosa. 4 minuti di tempo, 51 anni di storia.

Marcelo Diaz (al centro) esulta dopo il gol che ha salvato l'Amburgo dalla retrocessione

Marcelo Diaz (al centro) esulta dopo il gol che ha salvato l’Amburgo dalla retrocessione

Marcelo Diaz da Santiago del Cile, numero 20 dell’Amburgo, sistema il pallone per l’ultima preghiera. È un calcio di punizione dal limite. A 620 chilometri da lì stanno per staccare la spina. Aspettano ancora un momento, occhi lucidi, cuore in mano. Forse pensano ai cattivi presagi di tutta la stagione. Uno su tutti, l’orologio rubato al difensore centrale Johann Djourou. Valore di mercato: 100 mila euro. Sembra tutto scritto: un prezioso orologio che sparisce, un contatore di emozioni che finisce.

L’impari lotta dell’uomo contro il cronometro è ormai disperata. Se avete vissuto momenti felici nelle vostre vite, pensate a quegli attimi come a “istanti in cui il tempo si è fermato”. Ecco,a Karlsruhe, inseguire la felicità è fare qualcosa che non fermi il tempo. Il cileno conta i passi. La rincorsa dell’uomo di Santiago è il cammino della speranza. Il tiro di Diaz è guidato da un grande orologiaio che non permette al suo bambino di fermarsi. Pallone sopra la barriera e poi nell’angolino alla destra del portiere. Gol. Parità. Prolungamento del tempo. Nel senso di supplementari, ma non solo.

Nikolai Müller, autore del gol vittoria al 115'

Nikolai Müller, autore del gol vittoria al 115′

I minuti successivi si trascinano stancamente. I rigori sembrano ormai l’ovvio epilogo di una sceneggiatura che aspetta di capire se sarà una commedia o un dramma, ma il dio del tempo ha deciso di dare un’altra sistemata agli ingranaggi. Minuto 115. Nicolai Müller, ex bandiera del Greüter Furth, la squadra contro cui l’Amburgo si salvò l’anno scorso agli spareggi, riceve un cross da Cleber. Destro secco, palla in fondo alla rete. 2-1 per l’Amburgo. Ora davvero non c’è più tempo. Il Bundesliga Uhr continua a correre, come se niente fosse. Il Karslruhe avrebbe anche un rigore, cinque minuti dopo, per riaprire la gara. Ma il manovratore occulto delle lancette ha deciso che non si scherza più con lui. Penalty sbagliato, fischio finale.

Il quadro Der Wanderer di Caspar David Friedrich, custodito alla Künsthalle di Amburgo. È del 1818.

Il quadro diFriedrich, custodito alla Künsthalle di Amburgo. È del 1818.

Le nubi se ne vanno, torna il sole. Restano soltanto nel quadro più famoso di Amburgo, Der Wanderer, il viandante di fronte a un mare di nebbia. Caspar David Friedrich lo dipinse 200 anni fa ed è da allora l’icona del romanticismo tedesco. Un uomo solo di fronte alla nebulosità dei suoi dubbi e alle rocce emergenti delle sue certezze. Se Friedrich vivesse oggi forse dedicherebbe il dipinto agli ultimi romantici del calcio tedesco. Il viandante avrebbe una maglia rossa e la scritta Diaz sulle spalle. E al posto delle rocce, una semplice scritta: niemals Zweite Liga. Mai stati in B.

I momenti salienti dello spareggio fra Karlsruhe e Amburgo

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